L’Europa
non cresce perché distrugge reddito. Favorendo una redistribuzione all’inverso,
contro i più a vantaggio di pochi, pochissimi, e che siano maghi della finanza.
L’Europa
cresce poco, non ha ripreso i livelli pre-crisi, pre 2007, e non ha in
programma di farlo. Per un motivo che è evidente ma purtroppo non si dice: la
crisi finanziaria del 2007 è caduta in Europa su uno strato di debolezza, in un
sistema economico continentale che da un venticinquennio soprattutto distrugge
reddito, e capacità di spesa.
Questo
è soprattutto evidente in Italia, che pure ha, malgrado tutto, fatto “più
riforme” di ogni altro – per “riforme” s’intende la liberalizzazione del lavoro,
e l’Italia ha il record europeo della flessibilità, più della Germania e di
ogni altro paese euro. Uno stipendio, un
lavoro bastava fino a due generazioni fa per mantenere la famiglia,
acquistare casa, cioè pagare il mutuo, e anche risparmiare. Si facevano anche
vacanze lunghe, non una settimanella scappa e fuggi. Oggi non bastano due
stipendi, e comprare casa è affardellarsi per tutta la vita attiva. Il reddito
è taglieggiato. La capacità di spesa è cronicamente ridotta, da un carovita
tanto elevato quanto negato – deflazione è la parola d’ordine. Il reddito è taglieggiato in due modi,
alla fonte e nella spesa, come potere d’acquisto.
Nel
caso dell’Italia è anche ridotto complessivamente. Nei quindici anni del Millennio
tutti i paesi dell’eurozona hanno accresciuto il pil pro capite, perfino la
Grecia, l’Italia l’ha diminuito. Di uno 0,4 per cento, che però significa una
forte marcia indietro. Peggio è andata al reddito distribuito, che in termini
di potere d’acquisto è fermo al 1996. Sull’Italia pesano fattori specifici,
soprattutto l’ingovernabilità. Che un quadro europeo di debolezza però aggrava.
Un
venticinquennio di salari in calo, per inseguire la Cina su quel terreno
impossibile. Scemano le retribuzioni, la fetta maggiore di distribuzione del
reddito prodotto. In termini nominali, come valore medio, stante la
moltiplicazione di contratti atipici e al ribasso. E in termini reali, in
Italia e altrove, per effetto dell’inflazione. Mentre le pensioni, un terzo del
reddito distribuito in paesi come l’Italia, la Germania, etc., sono sterilizzate
per effetto della sterilizzazione dell’inflazione, in termini reale, e in
Italia ridotte perfino in termini nominali.
Il
“miracolo” tedesco nella crisi generale si alimenta di basse retribuzioni – più
alte dell’Italia ma per un costo della vita più elevato - e in calo costante da
dodici anni, perfino in termini nominali. Ma alla fine anche gli investimenti
ristagnano, per la contrazione inevitabile della redditività: col reddito e i
consumi in calo non c’è futuro – gli investimenti sono il futuro.
La deflazione che si lamenta è solo
statistica – “ufficiale”. È il gelo della spesa e degli investimenti,
ma per effetto del carovita, non di un crollo dei prezzi. Dove questo si
produce, per alcune materie prime, non riguarda le nostre economie – semmai ne
è un effetto, è un effetto della domanda depressa.
È
la sindrome giapponese, del ristagno, da un venticinquennio a questa parte. Che
nessun quantitative easing, nemmeno
il credito regalato, riesce a smuovere, dopo che si è distrutto il sistema
produttivo, della fiducia o affidabilità, “dalla culla alla tomba”, con l’insicurezza
e il minor reddito relativo, o minore potere d’acquisto.
Tutti
abbiamo visto che i prezzi sono aumentati tornando dalla vacanza tra agosto e
settembre: la tazzina del caffè, la benzina, la luce e il gas, l’ortofrutta e l’alimentare
in genere (pane, pasta). Ma l’Istat dice di no, e che anzi i prezzi
diminuiscono, contro ogni senso comune. I rincari non vengono registrati: le
metodologie statistiche europee sono mirate a sterilizzare i rincari. Il caso
fu clamoroso quindici anni fa al passaggio all’euro, quando i prezzi raddoppiarono
rispetto alle monete nazionali di sostituzione, la lira, il marco, senza che
gli indici nazionali e europei lo registrassero in nessuna misura.
La malattia sta nella cura?
A questo punto è evidente, anche se non si dice e non si cercano rimedi – Renzi
non ha lo status per imporli. E si vede anche la cura dove è distruttiva. Con i
tassi sottozero (in Germania, in Francia, in Olanda, anche in Italia) si
distrugge risparmio. E con la liquidità tassata, non remunerata, e anzi
onerosa.
“La mancanza di crescita dell’economia tedesca,
cioè la debolezza relativa”, confessa Daniel Gros a Francesca Basso, onesto
economista tedesco direttore del Centro per gli Studi di politica europea, “resta
per me un po’ un mistero. Tutti i capitali vanno lì, l’export va bene,
eppure….”. Il mistero di Gros non è un mistero, anzi è palese: è nella decantata,
dai liberisti fanatici e dai giornalisti conformi, “flessibilità” tedesca del
2006. Cioè nella liberalizzazione del lavoro, contratti e paghe insieme. Cioè
nell’impoverimento relativo della massa della popolazione, che vive d redditi
da lavoro, dal funzionario pubblico al manovale di fabbrica.
Tagli
di spesa pubblica alla cieca - per il principio. Inflazione cancellata.
Retribuzioni bloccate e in calo, in media e in totale (monte salari). Questa è
l’Europa, che solo così si ritiene virtuosa. La povertà dilaga, ma non fa
nulla. Non si accumula, non fa nulla. Non si investe, non ci sono prospettive,
poiché l’economia ristagna: non fa nulla. Finita l’era delle ideologie
politiche, quella della stupidità si è installata.
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