Alienazione – Tema nuovamente tabuizzato, dopo l’insistente
percorso dal feticismo delle merci di Marx alla reificazione di Lukáks e
Benjamin. Per irrilevanza? Non c’è stata probabilmente altra epoca di un così
articolato, invasivo, feticismo delle merci come nell’epoca contemporanea: da
parte dell’offerta – via google e la tesaurizzazione-cognizione di ogni riposta
tendenza personale – e da parte della domanda, che nel possesso sembra esaurire
ogni pulsione intellettuale e passionale.
Ateo
–
“Nemico personale della Provvidenza” lo vuole Stendhal, professando l’ateismo.
O non l’uomo della provvidenza, sua propria? La sua battuta celebra in
argomento – “quello che scusa Dio è il fato che non esiste” – è, dopo il gioco
di parole, irriflesso, una nostalgia, irriflessa, e un senso di privazione. Come
del padre naturale, che “non ha avuto”, benché presente in casa.
Cinema
–
L’operatore Walter Benjamin vuole come un chirurgo, che “taglia nel corpo del
paziente”. A differenza del pittore, che invece è un mago, il pranoterapeuta
che cura “imponendo le mani”. Le immagini nelle due tecniche sono ricavate in
modo diverso: “copiate” dalla pittura, modellate sul naturale, ricostituite dalla
fotografia e dal cinema.
Complotto – È caratteristicamente un argine e anzi un’arma contro
la libertà. Ed è un mito moderno, coetaneo dell’Illuminismo, quello storico. Ne
è un anticorpo? Un esito?
Si può dire lo spirito della
contemporaneità, più della guerra civile - della guerra di tutti contro tutti
piuttosto che della convivenza e l’unitarietà - che ne è un esito.
Guénon lo riporta al Cinquecento,
alla rottura dell’unità (cristiana) con l’insorgere della miscredenza, e con la
stessa Riforma, da cui sgorgarono le nuove sette, gli Illuminati etc. Ma il
complotto, l’idea storica del complotto, gesuitico, massone, rivoluzionario
(giacobino), controrivoluzionario, e pure quello sionista o semita, datano dal
Settecento, dall’Illuminismo storico.
Come se l’Illuminismo avesse
liberato le coscienze, che però non sanno pensare liberamente, e ripiegano
verso un terreno-recinto conosciuto, ancorché aborrito. Dove si sottomettono –
il complotto è riflessivo, interiore più che esteriore, anche se si configura
dati esterni e “reali” – con buona giustificazione.
Coscienza – È un problema, sempre lo stesso, da quando si è
formata: come può la mente immateriale influenzare i corpi materiali, e
viceversa?
Fede – Può essere nel nulla? Quella luterana (agostiniana, in
parte) è che l’insignificanza diventa la fonte della salvezza. E la fede si
rappresenta piuttosto come disperanza – l’esito che W.Benjamin intuisce quando
con Weber lega la Riforma al capitalismo, e il capitalismo caratterizza per
l’“espulsione della disperanza” – “il capitalismo è una religione senza precedenti
che offre non la riforma dell’esistenza ma la sua completa distruzione”.
Inferno – È assurda l’eternità della pena – così come del premio
paradisiaco. Cioè inconcepibile, se non per assurdo logico, e accettata soltanto
come espressione retorica, una forma di superlativo.
Assurda anche l’immutabilità, che è
invece la vera morte.
Origine – È mobile. Non è un punto fisso a partire dal quale
qualcosa ha inizio, ma un punto di riferimento, come un prisma multi
riflettente – uno ghiommero, una sorgente. L’origine è le origini.
Relativismo – È irragionevole. È come dice Benedetto XVI: “Il
relativismo generalizzato (cognitivo, classico, etc.) impedisce di definire un
qualsiasi insieme di criteri su basi razionali”.
Sostantivazione – Invalsa con la filosofia tedesca, soprattutto
quella dell’infinito verbale, per la semplice maiuscola del semplice verbo, per
di più con l’uso sassone delle terminazioni indicative (coniugazione), è indebita:
non definisce, e quindi non indica, ma “indefinisce”.
I grammatici la considerano un uso
soprattutto italiano. Ma in un quadro di riferimento esclusivamente romanzo –
lo spagnolo la usa anch’esso, ma in forme e quantità ridotte. Nel ceppo
germanico, l’inglese vi fa raramente ricorso, e solo alla forma aggettivale.
Neanche in tedesco la forma verbale è in uso, non nella letteratura né nella
colloquialità, ma sì nella prosa filosofica.
Teologia – All’opposto di Carl Schmitt, della politica che non può
essere che teologia (“con il teologico scompare il
morale, e con esso l’idea politica, e ogni decisione morale e politica viene
paralizzata nell’aldiquà paradisiaco di una vita immediata e naturale, e di una corporeità libera da problemi”), Benjamin le dà
nelle “Tesi sulla filosofia della storia” il ruolo dello schermo, del cache-sex, dell’illusorio: è il ripiano
degli scacchi dell’automata del barone von Kempelen, che vinceva agli scacchi,
sotto il quale un nano scacchista muoveva le pedine – il nano scacchista è il
materialismo storico, che assolda i servizi della teologia.
Tra i due opposti, Schmitt e
Benjamin corre una diversa concezione politica, ma anche di cultura e
tradizioni. L’astuzia della storia è di non avere astuzia – non sempre, spesso,
di tanto in tanto.
Traduzione – È nelle lettere e nei linguaggi l’analogo del meticciato.
Sembra che lo escluda, si traduce per mantenere le differenze, rimarcarle. In
realtà è come dice Benjamin nel “Compito del traduttore”, che c’è
interpenetrazione tra le lingue che si traducono. Nel senso dello stesso
Benjamin: nella traduzione di Baudelaire in tedesco, la lingua tedesca stessa
cambia per l’entrata nel suo alveo della poesia francese. Effetto tenue, ma non
unico. Più consistente è la formazione linguistica e terminologica. Nella forma
dell’interpenetrazione, reciproca.
Verità
- L’opinione
certamente è più vera: ha un autore dichiarato, e si argomenta.
Vuol essere apodittica, e quindi come?
Extrasensoriale? Astorica? Oggettiva (insoggettiva)?
zeulig@antiit.eu
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