lunedì 5 settembre 2016

Secondi pensieri - 276

zeulig

Alienazione – Tema nuovamente tabuizzato, dopo l’insistente percorso dal feticismo delle merci di Marx alla reificazione di Lukáks e Benjamin. Per irrilevanza? Non c’è stata probabilmente altra epoca di un così articolato, invasivo, feticismo delle merci come nell’epoca contemporanea: da parte dell’offerta – via google e la tesaurizzazione-cognizione di ogni riposta tendenza personale – e da parte della domanda, che nel possesso sembra esaurire ogni pulsione intellettuale e passionale.

Ateo – “Nemico personale della Provvidenza” lo vuole Stendhal, professando l’ateismo. O non l’uomo della provvidenza, sua propria? La sua battuta celebra in argomento – “quello che scusa Dio è il fato che non esiste” – è, dopo il gioco di parole, irriflesso, una nostalgia, irriflessa, e un senso di privazione. Come del padre naturale, che “non ha avuto”, benché presente in casa.

Cinema – L’operatore Walter Benjamin vuole come un chirurgo, che “taglia nel corpo del paziente”. A differenza del pittore, che invece è un mago, il pranoterapeuta che cura “imponendo le mani”. Le immagini nelle due tecniche sono ricavate in modo diverso: “copiate” dalla pittura, modellate sul naturale, ricostituite dalla fotografia e dal cinema.

Complotto – È caratteristicamente un argine e anzi un’arma contro la libertà. Ed è un mito moderno, coetaneo dell’Illuminismo, quello storico. Ne è un anticorpo? Un esito?
Si può dire lo spirito della contemporaneità, più della guerra civile - della guerra di tutti contro tutti piuttosto che della convivenza e l’unitarietà - che ne è un esito.
Guénon lo riporta al Cinquecento, alla rottura dell’unità (cristiana) con l’insorgere della miscredenza, e con la stessa Riforma, da cui sgorgarono le nuove sette, gli Illuminati etc. Ma il complotto, l’idea storica del complotto, gesuitico, massone, rivoluzionario (giacobino), controrivoluzionario, e pure quello sionista o semita, datano dal Settecento, dall’Illuminismo storico.
Come se l’Illuminismo avesse liberato le coscienze, che però non sanno pensare liberamente, e ripiegano verso un terreno-recinto conosciuto, ancorché aborrito. Dove si sottomettono – il complotto è riflessivo, interiore più che esteriore, anche se si configura dati esterni e “reali” – con buona giustificazione.

Coscienza – È un problema, sempre lo stesso, da quando si è formata: come può la mente immateriale influenzare i corpi materiali, e viceversa?

Fede – Può essere nel nulla? Quella luterana (agostiniana, in parte) è che l’insignificanza diventa la fonte della salvezza. E la fede si rappresenta piuttosto come disperanza – l’esito che W.Benjamin intuisce quando con Weber lega la Riforma al capitalismo, e il capitalismo caratterizza per l’“espulsione della disperanza” – “il capitalismo è una religione senza precedenti che offre non la riforma dell’esistenza ma la sua completa distruzione”.

Inferno – È assurda l’eternità della pena – così come del premio paradisiaco. Cioè inconcepibile, se non per assurdo logico, e accettata soltanto come espressione retorica, una forma di superlativo.
Assurda anche l’immutabilità, che è invece la vera morte.

Origine – È mobile. Non è un punto fisso a partire dal quale qualcosa ha inizio, ma un punto di riferimento, come un prisma multi riflettente – uno ghiommero, una sorgente. L’origine è le origini.

Relativismo – È irragionevole. È come dice Benedetto XVI: “Il relativismo generalizzato (cognitivo, classico, etc.) impedisce di definire un qualsiasi insieme di criteri su basi razionali”.

Sostantivazione – Invalsa con la filosofia tedesca, soprattutto quella dell’infinito verbale, per la semplice maiuscola del semplice verbo, per di più con l’uso sassone delle terminazioni indicative (coniugazione), è indebita: non definisce, e quindi non indica, ma “indefinisce”.
I grammatici la considerano un uso soprattutto italiano. Ma in un quadro di riferimento esclusivamente romanzo – lo spagnolo la usa anch’esso, ma in forme e quantità ridotte. Nel ceppo germanico, l’inglese vi fa raramente ricorso, e solo alla forma aggettivale. Neanche in tedesco la forma verbale è in uso, non nella letteratura né nella colloquialità, ma sì nella prosa filosofica.

Teologia – All’opposto di Carl Schmitt, della politica che non può essere che teologia (“con il teologico scompare il morale, e con esso l’idea politica, e ogni decisione morale e politica viene paralizzata nell’aldiquà paradisiaco di una vita immediata e naturale, e di una corporeità libera da problemi”), Benjamin le dà nelle “Tesi sulla filosofia della storia” il ruolo dello schermo, del cache-sex, dell’illusorio: è il ripiano degli scacchi dell’automata del barone von Kempelen, che vinceva agli scacchi, sotto il quale un nano scacchista muoveva le pedine – il nano scacchista è il materialismo storico, che assolda i servizi della teologia.
Tra i due opposti, Schmitt e Benjamin corre una diversa concezione politica, ma anche di cultura e tradizioni. L’astuzia della storia è di non avere astuzia – non sempre, spesso, di tanto in tanto.

Traduzione – È nelle lettere e nei linguaggi l’analogo del meticciato. Sembra che lo escluda, si traduce per mantenere le differenze, rimarcarle. In realtà è come dice Benjamin nel “Compito del traduttore”, che c’è interpenetrazione tra le lingue che si traducono. Nel senso dello stesso Benjamin: nella traduzione di Baudelaire in tedesco, la lingua tedesca stessa cambia per l’entrata nel suo alveo della poesia francese. Effetto tenue, ma non unico. Più consistente è la formazione linguistica e terminologica. Nella forma dell’interpenetrazione, reciproca.

Verità - L’opinione certamente è più vera: ha un autore dichiarato, e si argomenta.
Vuol essere apodittica, e quindi come? Extrasensoriale? Astorica? Oggettiva (insoggettiva)? 

zeulig@antiit.eu

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