Amore – È la felicità,
qualche che ne sia la natura. È un transfert, sia pure su un fiore di campo ,
un oggetto – il collezionista – o un pet.
Anima È
sempre la psiché di Pindaro: “Non
aspirare, anima cara, a una vita immortale, ma esaurisci il campo delle possibilità”.
“Platone
ha chiamato anima del mondo ciò che Aristotele ha chiamato natura”, secondo l’Idiota
del Cusano: “Suppongo che anima e natura siano Dio che compie tutto in tutto”.
L’anima di Platone è quella “di un servo che conosce la mente del suo padrone
ed esegue la sua volontà”, chiamandola scienza. “E quello che Platone ha
chiamato scienza dell’anima del mondo, Aristotele ha voluto che fosse la
sagacia della natura”.
Cicerone
le riassume tutte nelle “Consolazioni”: “Che cos’è l’anima? Non è umida o
ariosa o focosa o impastata di terra. Non c’è niente in questi elementi che spieghi
il potere della memoria, mente o pensiero, che richiama il passato, prevede il
futuro e capisce il presente. L’anima piuttosto deve essere ritenuta un quinto
elemento – divino e quindi eterno”.
Dio - La sua morte,
nel Settecento, porta con sé la rottura dell’intelleggibilità del reale. Più
che con la miscredenza di due secoli prima, più radicalmente, più ordinaria
cioè e senza residui – dubbi, crisi, colpe. Ma è una rottura dell’episteme, il consensus, benché si voglia il trionfo
della ragione.
La
quale vive allora del paradosso: un enunciato paradossale (ironia,
estraniazione, critica) per un reale paradossale. Irragionevole in realtà: la
logica del paradosso è fine a se stessa. Divertente, come farsi il solletico, e
senza conseguenze, se non l’accatastamento.
La
risposta se Dio esiste è nella domanda, argomenta Cusano: se ci si domanda se
Dio è, si presuppone l’essere. È Heidegger scolastico – elementare, Watson!:
Dio è la Presupposizione Assoluta, etc.
Ma,
poi, Cusano pretendeva di pesare il
respiro.
Felicità – “Nessun maggior dolore”, dice Dante, “che
ricordarsi del tempo felice\ ne la miseria”. Non è il contrario? La miseria
sarebbe totale senza nient’altro, almeno un ricordo.
Filosofia
tedesca- Stendhal poteva essere ancora arguto,
sulla “pseudo filosofia tedesca pazzesca fino al risibile”. Poi due secoli di
pesanti mattoni, la filosofia per la filosofia..
Heidegger – L’università
tedesca di Friburgo aveva una cattedra di Fenomenologia, intitolata cattedra
Heidegger, “Heidegger Lehrstuhl”. Dopo la pubblicazione dei primi “Quaderni
neri” e la conferma dell’antisemitismo di Heidegger, ha chiuso la posizione.
Non l’ha intitolata a Husserl, che di Heidegger era stato il maestro e nell’insegnamento
a Friburgo l’aveva preceduto, e si considera l’“inventore” della Fenomenologia.
Husserl è ebreo.
“Così
Lutero si travestì da apostolo Paolo”: Marx nel “Diciotto brumaio” lo dice delle
rivoluzioni che si cercano nel passato, ma questo è Heidegger. Nel senso più
nobile di Marx: “Il principiante che ha imparato una lingua nuova la ritraduce
continuamente nella sua lingua materna, ma non riesce a possederne lo spirito e
ad esprimersi liberamente se non quando in essa si muove senza reminiscenze,
dimenticando in essa la lingua d’origine”. Il Filosofo Secondo, dopo Platone, è
dunque marxista, magari incognito. Benché antibolscevico – Marx non lo sarebbe
stato?.
Si
vuole Marx economista e agitatore e non filosofo. E invece lo è, sotto forma di
Heidegger, il “primo” marxista: i tedeschi della rivoluzione conservatrice, che
Marx abominavano, se ne sono appropriati i criteri e gli obiettivi, anche se
solo in funzione antiliberale - Marx fu economista fantasioso, essendo
autodidatta, e politico mediocre, litigioso, invidioso. Il nodo è il corpo, la
materia, il mondo, la “tecnica”. È l’estraneità dell’essere qual è, materiale, che
nutre la borghesia, e la fa ipocrita, cioè stupida.
Già
in questo senso il nazismo è marxista, per essere biologico. Per la percezione del
corpo in quanto eredità, sangue, passato che non passa, con tutto quello che
ciò implica di fatale, quindi obbligato: un Diamat ematologico. Chiunque enunci
un affrancamento dalla fisicità senza coinvolgerla è il nemico, tradisce e
abiura.
E Heidegger? Lo stesso antiumanesimo che
Heidegger dichiara è il Diamat. Con il popolo, e il popolare. L’insistenza sul völkisch,
volumi di völkisch, il principio v., l’essenza v., lo
spirito v., la voce v., la scuola v., la gioventù v.,
durante e dopo Hitler, e prima. Una riscrittura di Marx. Mimetizzata ovviamente:
il Filosofo Bino, o Trino, considerando il suo agostinianesimo, si immagina in
tuta mimetica, mani e viso al nerofumo, anfibi, ninja del popolo, che nottetempo semina di mine il campo ostile. Il
bolscevismo è “una possibilità europea”, dice chiaro, è Europa, “l’emergere
delle masse, l’industria, la tecnica, l’estinzione del cristianesimo”. Ne sa
pure la natura, poiché è ereditaria: “Se il dominio della ragione come eguaglianza
non è che la conseguenza del cristianesimo, e questo è fondamentalmente
d’origine ebraica, il bolscevismo è di fatto ebraico, e il cristianesimo è
anche esso fondamentalmente bolscevico!”. Una genealogia, ebraismo,
cristianesimo, bolscevismo, lusinghiera o ingiuriosa? E perché?
La
sua idea di filosofo è il santone, uno che mai sbaglia. Proprio come Marx: qui
e là la mobilitazione è totale, si aderisce alla storia con tutto l’essere –
Marx, l’“ebreo tedesco” di Bakunin: la Prima
Internazionale fu rissosa.
Marx - Pensa come
Napoleone più che come Hegel: semplifica la storia perché vuole farsene una – è
Napoloene, seppure con la ghigliottina
di Robespierre. Rilancia, sul supporto di Hegel e della storia rivelazione,
l’unicità della Rivoluzione francese nel senso della compattezza, e anzi del monolitismo.
Che è come la Rivoluzione si presentò nel mondo, ma questo a opera di
Napoleone, della conquista napoleonica. La Rivoluzione fu episodica, si sa, e frammentata:
mozioni confuse, assemblee vaganti, strane peripezie dei protagonisti, che sono
tanti e nessuno, la violenza della plebe a Parigi, il silenzio del popolo in Francia,
le restaurazioni. Ci furono semmai tante rivoluzioni, insieme e in successione.
Napoleone ne fissò il nome, che non vuole dire nulla.
L’identificazione
più sottile è quella individuata da Hannah Arendt: “Il pragmatismo, anche
marxista e leninista, muove dal presupposto, comune a tutta la tradizione
occidentale, che la realtà riveli all’uomo la verità, il totalitarismo
presuppone solo la validità delle leggi del divenire”. Dell’esistere, senza
leggi. Un’identificazione da intendersi, naturalmente, come sorpassamento. Le
idealità e incertezze delle società fondate sulla volontà libera degli
associati sono false e ostili. Ogni forma associativa, ogni appartenenza, che
sia di tipo razionale e politico oppure consuetudinario e mistico, che non si
fondi su una comunione fisica, d’interessi e di determinazioni materiali, è
ostile. E tuttavia la mia verità è la verità – questo è vero di ogni filosofo,
anche di quelli della non-verità, ma c’è modo. E deve fondare un mondo nuovo:
la rivoluzione dei fatti discende dalla rivoluzione delle idee, a esse il mondo
va conformato. La verità è conquistatrice. Gli uomini non sono inchiodati all’Ente
nella soddisfazione dei bisogni vitali, non sono rassegnati.
Solitudine – La natura
aborre la solitudine, si dice. E tuttavia la ricostituisce: il colloquio è
anzitutto soliloquio – se è produttivo: se si capisce, si recepisce.
Viaggiare – Si fa in
surplace, segnando il passo? Sì con l’Idiota del Cusano, con argomento non
sofistico: “Il muovere è il passare da quiete in quiete, sicché non è altro che
quiete ordinata, ossia quiete ordinate in serie”. Come il variare quotidiano,
si può dire, del giorno e la notte, delle stazioni, della meteo, degli umori.
“Il moto è l’esplicazione della quiete”, ancora l’Idiota, “perché nel moto non
si trova altro che quiete”. Il moto interiore, non la traslazione fisica.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento