Spatuzza non ha niente da dire che non
abbia detto. E sempre si lamenta povero e abbandonato – come tutti, primo
Ottocento (già Dickens ne sa di più).
Non si capisce la ratio di questo libro. Non è
nemmeno il solito sermone anti-Berlusconi, quelli che si scrivono, si
scrivevano, per uscire su “la Repubblica” o “l’Espresso” – il rito degli autori
della “resistenza”. Berlusconi viene abbondante quarto nelle citazioni – dal
suo nome Spatuzza non si aspetta più nulla? Qui si parla soprattutto dei tre
Graviano, i padri-padroni del killer. Del quale non c’è una piega di condanna,
solo comprensione – “misericordia”?
Ben nove incontri tra la studiosa e il
killer. Dino dice che sono avvenuti nel mezzo di un periodo “di grande
sofferenza”, poteva almeno risparmiarsi Spatuzza. E le venerabili edizioni del
Mulino? Dov’è finita la sociologia?
“Un
racconto di vita una storia di stragi” è il sottotitolo. Di stragi, s’intuisce naturalmente,
a opera dello Stato, con o senza Berlusconi, di vita invece di Spatuzza. E di
vita del centinaio di persone da lui uccise, molte delle quali non erano nemmeno
mafiose? Una testimonianza “pulsante”, dice la studiosa. Di che?
Di Spatuzza, il centokiller, valga
quello che si scriveva su questo sito il 7 dicembre 2009:
“Il corteo palermitano a Torino
in onore di Spatuzza è una coppa del mondo data vinta alla mafia, alla mafia
mafiosa degli Spatuzza e dei Graviano, i killer e i boss. Un mago del marketing
mafioso non avrebbe saputo inventare di meglio. E tutto gratis, a spese dello
Stato, cioè degli onesti. La Corte d’Assise d’Appello, completa di giuria, che
viaggia da Palermo a Torino per ascoltare il gran pentito Spatuzza, alla
presenza di duecento giornalisti, che c’entra con la mafia? Che c’entra con il
Sud? È una guerra tra De Benedetti e Berlusconi, tra Bazoli e Berlusconi, cui i
giudici siciliani si prestano proni per loro particolari ragioni, e anzi in
contrasto con i loro doveri istituzionali. Una scaramuccia in realtà, lupo non
mangia lupo: non ci libereremo di Berlusconi, il padrone dei nostri voti, né di
De Benedetti o Bazoli, i padroni della nostra opinione e dei nostri soldi.
“Spatuzza è un killer brutto quanto spietato, l’emblema
anche fisico della stupidità assassina. Lo proteggono venti agenti addetti alla
sua protezione personale, venticinque agenti in vario modo incaricati del
trasporto, e settanta tra poliziotti e carabinieri addetti alla sorveglianza…
Uno che denunciasse un sopruso di mafia, un danneggiamento,
un’estorsione, Libero Grassi per esempio, non avrebbe, non ha mai avuto,
neanche un millesimo di questa sollecitudine. Bisogna arguirne che lo Stato è
mafioso? No.
“Il pentito Spatuzza è un caso abnorme. Uno che da tempo
studia teologia in carcere, ma si ricorda dopo quindici anni. E dopo che da ben
sette anni i suoi (ex?) capi mafiosi gli chiedono di ricordare. Capi in
isolamento, che però lo possono incontrare nel supercarcere di Tolmezzo, per
distesi dialoghi – Spatuzza è uno che è lento a capire.
“Ma più del colloquio boss-killer a Tolmezzo, è mafiosissimo il
colloquio tra Procuratore e boss,
il giudice Alessandro Crini e uno dei fratelli Graviano, Filippo, a proposito
del convitato di pietra Berlusconi, qui riportato nella redazione del “Corriere
della sera” del 29 novembre: http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_29/pm-domande-spatuzza-berlusconi-bianconi_c286a9a4-dcbf-11de-8223-00144f02aabc.shtml
Procuratore: «Con lei si parla bene, un italiano
consapevole, queste cose le capisce al volo... Noi pensiamo che Spatuzza abbia
capito bene, e pensiamo che lei si sia difeso molto bene, con
un’interpretazione molto saggia, che però secondo noi non è quella giusta».
Graviano risponde che lui non dice bugie; semmai non dice.
E ribadisce di «non avere cognizione, né diretta né indiretta, di questi impegni,
accordi, o come si possono chiamare; ma quella risposta articolata che vi ho
dato è per aprirvi un sentiero, diciamo... ».
“Pier Luigi Vigna è il giudice fiorentino che è stato a
capo della Procura nazionale antimafia. Al “Corriere della sera” del 29
novembre ricorda di avere incontrato un paio di volte Spatuzza, “nel 1999 o nel
2000”. Lo ricorda “intenso”, e “assai tormentato”. Un killer di mafia, autore di almeno cento
assassinii. Sotto l’incubo del 41 bis. E uno dice: chi ci protegge? Non dai
mafiosi.
“Spatuzza in carcere diventa teologo. Un killer volpino (il tipo qui lo dico, qui lo
nego) nella foto dell’arresto. Il suo boss Graviano diventa economista. Tutti con
buoni voti. Bene assistiti dai tutor.
È il carcere una buona università, o viceversa?
“La storia dei pentiti è tutta disonorevole. Il pentito
negli Usa si deve pentire “tutto insieme”: deve dire tutto quello che sa, dopo
essersi preparato, a tutti gli inquirenti che possano essere interessati alle
sue confessioni, magistrati o poliziotti. Non all’orecchio di questo o
quell’inquirente, magari suo sodale. Non a rate. Il nemico, seppure retribuito,
in America è sempre un criminale. Roba da sbirri, che sempre hanno avuto da
fare con confidenti e mezzani. Solo nella giustizia italiana diventano martiri,
per sbugiardare la giustizia.
“Buscetta, a parlarci, era un evidente bugiardo. E tuttavia
scrittori molto apprezzati e molto pieni della propria onestà, Biagi, Bocca, i
sicilianisti, ne hanno fatto un monumento: di correttezza, onestà, coraggio. Un
criminale che ha vissuto magnificamente metà della sua vita, protetto come un
capo di Stato e con lauti rimborsi spese dello Stato. Era pronto anche a
chiamare in causa Andreotti, dopo avere negato questo favore a Falcone, quando
i nuovi procuratori ebbero bisogno della sua collaborazione”.
Alessandra Dino, A colloquio con Gaspare Spatuzza, Il Mulino, pp. 312 € 20
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