mercoledì 5 ottobre 2016

Berto controcorrente piace negli Usa

Sono gli atti di un Convegno tenuto a New York da tre università, la Rutgers, la Fordham e la State University di New York. Trent’anni dopo la morte dello scrittorre veneto trapiantato in Calabria, nel 1978. Un convegno rimasto anch’esso senza eco, e quindi come nuovo.
Berto è uno degli scrittori del secondo Novecento che più reggono al tempo, ma non in Italia Si dice perché era fascista, ma lo fu in gioventù, come tutti. Fu semmai autore di solidi romanzi marxisti, quele nel 1961 “Il brigante”. No, è che la filologia è morta in Italia probabiolmente col 1989, col “patrimonio delle certezze”. In realtà di Berto dava e dà fastidio la libertà intellettuale, fuori dai salotti e le camarille letterarie più che dai partiti o la politica: non c’è nulla in lui che si debba censurare, ma il giusto ogoglio lo ha isolato e lo isola. Essere congtrocorrentye si può in Italia ma alla maniera di Malaparte, per parlar male delal corrente di cui si è stai parte.
La celebrazione americana mette l’accento sul fatto che Berto nacque scrittore durante la prigionia, 1943-45, a Hereford nel Texas. Dove scrisse racconti di guerra e di prigionia, e due romanzi. Il secondo dei quali, “La perduta gente”, pubblicato nel 1947 da Longanesi col titolo “Il cielo è rosso”, lo promosse scrittore a pieno titolo – ma era la sua ambizione: prima della prigionia aveva pubblicato a settembre del 1940 sul “Gazzettino sera” un lungo racconto in quattro puntate della sua guerra in Africa (è stato ripreso postumo come “La colonna Feletti”).
Giuseppe Berto: thirty years later, Marsilio, pp. 94 € 12

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