domenica 2 ottobre 2016

Il mondo com'è (278)

astolfo

Arabia Saudita – Il regno più stabile del Medio Oriente sarà sovvertito dal via libera del Congresso Usa alle azioni di responsabilità per li attentati dell’11 settembre 2001? Non c’è dubbio che le azioni giudiziarie verranno promo esse, che saranno migliaia e diecine di migliaia, e che saranno giudicate negli Usa: è la manna per gli avvocati a percentuale, che fanno degli Stati Uniti il paese più litigioso al mondo.
Potrebbe essere la fine di un’epoca, del petrolio abbondante. E il prologo a una serie di crisi, nel Medio Oriente, nel mercato dell’energia, e nei mercati finanziari. Non ci sarà la guerra mondiale, perché non ce ne possono essere più, ma sarà quella che più le si avvicina – senza peraltro escludere l’arma nucleare.
Ma questo soprattutto perché l’Arabia Saudita non è lo Stato più stabile del Medio Oriente: il reame non è nuovo al soqquadro, benché sembri monolitico e addormentato. È anzi un focolaio di gravi contrasti e fattori di crisi. Il re in carica da un anno, Salman, ottantunenne, è di transizione: l’ultimo dei fratellastri figli del fondatore della dinastia Abdelaziz Ibn Seud. Il suo successore designato, anche se formalmente secondo nella linea di successione, con l’inedito titolo di vice-principe ereditario, suo figlio Mohammed bin Salman, si sta giocando il proprio futuro in questi mesi con la guerra all’Iran nello Yemen, da lui decisa in qualità di ministro della Difesa. Una guerra tradizionale, di eserciti e aerei, che per ora è in stallo.
Il regno si classifica come sunnita wahabita. Dopo la graduale espansione delle tribù wahabite dell’interno contro sufi, sciiti, zaiditi, e altre minoranze delle regioni costiere e rubane alla fine dell’Ottocento. Ma la dinastia regnante, sicuramente sunnita wahabita, si impose quando negli anni 1930 il fondatore, Abdelazid Ibn Seud, stroncò con centinaia di esecuzioni la Fratellanza Wahabita, l’ala radicale che si espandeva a partire dall’Iraq e dalla Giordani.  Ridando libertà di culto alle minoranze. Soprattutto, all’Est del paese, agli sciiti. Nonché ai vari “infedeli” che popolavano il paese per l’industria del petrolio. A Gedda, la capitale diplomatica, e a Dammam, la capitale del petrolio, si dava conto delle celebrazioni festive cristiane oltre che islamiche, c’erano dei cinema pubblici, si davano concerti, le donne potevano mostrarsi anche poco velate.
Nel 1975 il re Feisal fu ucciso da un nipote. Feisal aveva deposto nel 1964 per incapacità, d’accordo con i fratelli, il primo successore del padre fondatore della dinastia, il primogenito Saud. E aveva promosso, anche per contrastare la propaganda nazionalista araba egiziana, “radio Nasser”, una cauta modernizzazione. Una televisione, anche se con programmi prevalentemente religiosi. E le prime scuole pubbliche per ragazze, con insegnanti ciechi.
Quattro anni dopo, sull’onda del khomeinismo, che in Iran aveva debuttato rovesciando lo scià, un movimento analogo agitò l’Arabia Saudita. Militanti sunniti wahabiti presero d’assalto la Grande Moschea della Mecca, il luogo santo per eccellenza dell’islam, e proclamarono un nuovo regime invece del saudita, sotto un Mahdi, un redentore. Le forze wahabite fedeli alla monarchia contrattaccarono e ripresero la moschea. Ma il contrattacco fu diplomatico più che militare: un accordo per cui il controllo sulle donne (spostamenti, sempre con accompagnatore, e abbigliamento, sempre in nero) veniva passato alla polizia fondamentalista,  e cinema e teatri-concerti venivano chiusi.
Dopo di allora, nel quasi mezzo secolo successivo, i regnanti si sono ritagliati l’economia del regno, mentre il fondamentalismo wahabita ha invaso il paese, anche le città, in tutti gli aspetti della vita associata: giustizia, scuola, costume. Creando nuove frizioni con  le minoranze, soprattutto con gli sciiti, che ora hanno come riferimento la potenza esterna, e concorrente, dell’Iran.
È su questo sviluppo che s’innesta la decisione del Congresso Usa, di aprire le porte alle cause per  risarcimento: c’è una parte dell’Arabia Saudita dietro gli attentati dell’11 settembre e dietro l’Is. Che re Salman e il figlio Mohammed tentano ora di contrastare. Ma hanno troppi fronti aperti: wahabismo radicale, sciismo militare (Iran), la contestazione urbana delle giovani generazioni, per la modernizzazione.

Emigrazione islamica – È stata in passato più spesso sconsigliata, e anche vietata, in terra cristiana. Oggetto di molte fatwa, pareri giuridico-religiosi. In materia specialmente caute, velate, ma esplicite. Amedeo Feniello, “Sotto il segno del leone”, ne sintetizza alcune al § 5. “Una «fatwa» per non morire”, del cap. 5. Ahmed ibn Yahya al-Wansharisi, il giurista e teologo algerino che esercitò a Fez nel Trecento, si distinse per sconsigliarla con durezza, in numerose fatwa.

Esecuzione – La rivoluzione francese, dopo la repubblica e l’impero romani, e prima di Hitler, studiò, progettò ed eseguì esecuzioni di massa. Individuali cioè, dopo un simulacro di condanna oppure per editto, ma in gran numero. Per colpa in genere “collettiva” e non specifica: politica.
Il sistema più noto, la ghigliottina, concluse una ricerca durata un millennio sulla decapitazione. Assassinio più di tutti simbolico, ma di ardua esecuzione, qualora non si abbiano boia di mano ferma e lame affilate: la sega, sperimentata in Giappone, era risultata rumorosa e lenta. L’annegamento, forma preferita di suicidio, si rivelò soluzione insufficiente per essere individualista. come i polsi tagliati, l’impiccagione, il salto nel vuoto, l’avvelenamento, l’inedia, Si sperimentò a Nantes, nelle famose “noyade”, e si abbandonò. La città dell’editto fu anche mezzo di esecuzione di massa, uno dei primi, tra novembre e dicembre 1793, studiati con applicazione: i condannati erano imbarcati, cinquanta alla volta, con le mani e i piedi legati, in barconi a fondo mobile sulla Loira, che sulla piena del fiume veniva aperto.
Le “noyade” erano state pensate come mezzo meno costoso delle fucilazioni. In precedenza i controrivoluzionari erano stati fucilati. Ma, pur procedendosi a una media di 200 fucilazioni collettive al giorno, il sistema si era dimostrato lento, oltre che costoso.

Femminismo – Fra le testimonianze e gli aneddoti che Amedeo Feniello riporta della pubblicistica araba sulle città cristiane nei secoli attorno al Mille, in “Sotto il segno del leone”, spiccano quelle ammirative sulla giustizia. Specie nel diritto familiare: Al Bakri, XI secolo, nota: “Presso di loro non esiste il ripudio.  Fanno ereditare alle donne due parti del patrimonio e all’uomo una parte”.

Islam – Nasce in città: alla Mecca e a Medina. E borghese, di commercianti. Non pastorale né nomade. E la cura mette soprattutto, fin dagli inizi per un’organizzazione di corte e lo sviluppo urbano. Tutte le sue città storiche sono monumenti architettonici, e anche urbanistici.

Normanni – Si trascura, da Amato di Montecassino (i liberatori della cristianità) a Amari (tutto ripresero dai modelli arabo-mussulmani) e al fantasioso “Regno del Sole” di Norwich, che i settanta anni di regno Altavilla a Palermo furono preceduti a un secolo di signoria a Mileto, “pacificatori” della Calabria e della Puglia, le due aree cristiane ortodosse. Scesi a Sud si invito e con la benedizione papali, in divisi ma coordinati (familiari, tribali) gruppi d’arme, per latinizzare le due aree. È la tesi della tradizione ortodossa, ma non per questo falsa. Una sorta di “guerra santa” combatterono, latina.

La “pacificazione” della “vera fede” i normanni portarono a effetto alleandosi anche truppe e popolazioni islamiche, all’assedio di Capua, e poi più tardi, col loro successore l’imperatore tedesco Federico II, nel sue guerre contro i padani.

astolfo@antiit.eu

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