Bible Belt – La “cintura” o “fascia” -
l’area - “della Bibbia”, il Sud-Est degli Usa, fu individuata un secolo fa, nel
1919, da Henry Louis Mencken, in senso negativo, come un’area di ignoranti
fanatici. La stessa Frances O’Connor, che visse in Georgia una parte degli anni
di Mencken, e fu molto religiosa, racconta inorridita di una nonna che lesse la
Bibbia trentasette volte stando in ginocchio, senza memorizzarla, se non per frasi
fatte, e senza proporsi di capire .
Mencken, studioso
del “linguaggio americano”, dell’uso dell’Inglese negli Usa, detto per questo “il
saggio di Baltimora”, fu polemista in voga negli Usa prima della Guerra: bellicista
ma isolazionista, sia nella prima che
nella seconda guerra, antirooseveltiano, e in chiave nietzscheana – fu l’araldo
di Nietzsche negli Usa, del Nietzsche allora conosciuto, “La volontà di potenza”
- irreligioso e antidemocratico, e anche
razzista.
Catalogna – Si avvia al distacco dalla
Spagna, fra sei mesi, malgrado l’esito negativo del referendum, tra un crescente scetticismo. Il
particolarismo può essere asfittico. Ed è quello che temono ora i catalani, in
maggioranza secondo i sondaggi: di essere preda di un gruppo di demagoghi che
aprono un futuro d’incertezze, più che di resistenza e di verità, e anche di
prosperità accresciuta. Lo scrittore Falcones ne è atterrito: “Ma lo sa che qui
hanno perfino affermato che se fossimo indipendenti ci sarebbero meno tumori?”,
spiega a Edoardo Vigna che lo intervista per “Sette”. Con meno argomenti, ma lo scetticismo è ora più diffuso, secondo
i sondaggi, rispetto al referendum di un anno fa, che rigettò la separazione
dalla Spagna.
5
Stelle .
Il movimento “può essere l’erede dei fascisti di Mjussolini?”, titola il
settimanale politico americano “The Nation”. A sorpresa, e col punto
interrogativo: la corrispondente da Roma, Frederika Randall, parte dalla
conquista elettorale della capitale chiedendosi: “Il Movimento 5 Stelle ha
infine preso il palazzo d’Inverno… o dovremmo dire che ha fatto la sua marcia
su Roma”. Precisa che dare del fascista in Italia è un vezzo comune. Ma procede
Ma con una serie concludente di argomenti.
Il movimento è nato nel 2007,
quando Grillo ha varato le maniofestazioni del “Vaffanculo” - in italiano nel
testo, il termine è sdoganato. Grillo lo ha lanciato e lo amministra con
Casaleggio, “all’insegna di un dispotismo illuminato e della democrazia
diretta”. Casaleggio era “un eccentrico, patito di fantascienza e guru del
web-marketing”. Grillo promette molto a tutti ma non ha un programma economico.
In politica estera è unicamente anti-euro e anti-Ue, apparentato a Strasburgo
col movimento xenofobo britannico Ukip. Trump e Berlusconi, ricconi voltati in
politica, sono lontani? No, Casaleggio è stato “un affarista aspirante imprenditore
“, e ha locupletato il blog di Grillo con la pubblicità. Grillo è “un ricco
showman”, che ne condivide l’approccio: anti-tasse e anti-regole, e in favore
del capitale. Il disprezzo della politica non è di “questa” politica ma delle
regole politiche. La “democrazia diretta” col voto online sul blog di Grillo ha
aperto più di un varco alle manipolazioni. In conclusione, “se c’è un partito
che somiglia a quello di Mussolini col sostegno dei reduci di guerra nel
1919-1920 è il Movimento 5 Stelle”. Identico il tema messianico del “riscatto
dei traditi”, dalla corruzione oggi come dai pescicani allora e dai profittatori
di guerra. Identica la mescola di messaggi “presi in fretta in prestito da
destra e da sinistra” (qui Randall ricorda che Mussolini veniva dal
socialismo). E lo stesso piglio dittatoriale
per tenere assieme un movimento disordinato”. Con il mussoliniano, si può aggiungere, “Vincere,
e vinceremo”.
Il caso italiano è messo in
prospettiva col discredito della politica
ovunque in Europa, in Francia, Gran Bretagna, Belgio, Spagna. Da ultimo una
frecciata non gratuita: “L’Italia? Grillo in realtà non se ne cura. Sembra credere
che l’Italia possa vivere nell’autarchia”.
“The Nation”, di orientamento
dichiarato “progressista, social liberale”, ha 150 anni di vita, il settimanale
politico più longevo.
Islam
–
Pratica la dissimulazione e non apprezza la debolezza – rispetta la forza. È
tutto qui lo “scontro di civiltà”, o la difficoltà crescente all’integrazione,
anche dopo due generazioni. Che tanto più cresce quanto più numerosa si fa la
comunità mussulmana in Europa: crescendo di numero, più forte si fa il vecchio
sentimento di sfida. Le incomprensioni nascono da qui. Le chiusure europee sono
del resto limitate agli immigrati islamici, non al colore della pelle o ad
altri diversità geo-culturali: per il revanscismo serpeggiante in quella
comunità (o bisognerebbe dire confessione?).
Occidente
– È
in crisi in parallelo con la desovietizzazione: è entrato in crisi nel momento
in cui il comunismo mondiale si è dissolto: si è dissolto pure l’Occidente, che
si era conformato alla lotta al comunismo. Quello dei valori e del riarmo morale,
nella cosiddetta “cultura di massa del consenso” Fatta di prosperità economica
distribuita, e valori quasi religiosi di libertà. Dichiarata negli Stati Uniti,
che nel 1956 adottarono il motto “In God we trust”, la fede in Dio, al posto del
latino “E pluribus unum”, il crogiolo, che aveva accompagnato l’indipendenza
nel secondo Settecento. “In God we
trust”, che era apparso sulle monete al tempo della guerra civile, dopo la
legge del 1956 fu estesa ai biglietti del dollaro. Due anni prima era stata
aggiunta la clausola “under God” alla formula del giuramento di fedeltà alla
bandiera nazionale: “Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e
alla repubblica che essa rappresenta, una nazione sotto Dio, indivisibilmente, con libertà e giustizia per tutti”. Con
il connesso senso di superiorità, che poi si è dileguato.
Ma già negli anni 1980, del
reaganismo, delle crepe si erano aperte nel fondamento etico, nell’ideologia
dell’arricchimento libero e facile, degli yuppies, come si chiamavano gli arrivisti
in quegli anni, e dei consumi eccessivi, esibizionisti
Patrie
–
Vanno a restringersi, tanto più quanto vogliono essere autentiche, univoche
cioè, e organizzate in un destino unico. È il principio del tribalismo, che
sottintende al concetto di patria: Modernamente vincolato alla comunanza di lingua
e di storia, ma al fondo sempre razziale, biologico. Il movimento verso le
piccole patrie cresce nell’ex Terzo mondo, in Libia, in Iraq, in Siria, perfino
in Libano, che invece è nato
programmaticamente all’insegna della convivenza, per un’esperienza unitaria recente
e forse superficiale. E avviene nella sofisticata Europa a esaurimento della
dialettica e l’apologia della Grande Patria, collante anche di realtà li linguistiche
e\o etniche diverse. In Gran Bretagna, Spagna, Belgio, in Italia anche se non
si dice.
La Germania fa eccezione: nel
mondo tedesco il movimento è ancora centripeto. La Grande Germania è fuori
agenda per sensibilità politica, dopo le guerre del Novecento, ma approssima
probabilmente l’unanimità, fra le varie nazioni tedescofone.
Velo
– Se
ne fa una questione di moda e accessori, mentre è una questione etica e di
diritto. Chiaramente il “Corano” considera la donna inferiore – bisognosa di
aiuto, ma appunto perché inferiore. Il velo non è una maniera di essere, magari
di modestia femminile, o di ritrosia, o di riguardo, come è stato in varie
epoche della civiltà e in varie popolazioni, di ogni religione. Il velo
islamico è imposto. Per una questione di privativa: la donna deve mostrarsi
solo al marito e al padre – neanche al medico. Il velo islamico non è una moda,
e non è una scelta. E come imposizione è privativo, asservisce.
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