Un papa inevitabile – dopo quello
argentino di strada, il presidente nero e la presidentessa in itinere femmina: un papa per caso, giovane e americano su
progetto delle vecchie volpi americane del conclave, che invece entra nel
ruolo. Nel modo più naturale. Cioè inaspettato, e vero. Cioè semplice. Della
cosa soprammessa alla fede, che quindi non va e va rovesciata. A partire da se
stesso. È un papa che si vuole senza immagine sua propria – detto alla Moretti,
si nota di più un personaggio senza immagine, ma di fatto il vicario di Dio in
terra vuole tornare ai fondamentali.
“Avete dimenticato Dio!” è più o meno il
grido del papa giovane quando infine si decide a parlare ai fedeli, senza però
mostrarsi. Sullo sfondo di una verità cui probabilmente Sorrentino è arrivato
per caso: che scienza e filosofia non sono superiori alla fede e non possono
sfrattarla, forse non devono - godono di prestigio, ma senza fondamento quando
la fiducia si vuole superiorità. Senza filosofemi: è un film sontuoso, come
tutto ciò che è Roma, che Sorrentino vede sempre con occhio specialissimo - lo
specchio della vera anima della città, anche a sua insaputa, anche contro se
stessa. Che non è un “discorso” soprammesso, o una vaselina per il pubblico,
per fargli avallare un racconto indigesto: è il lusso dei sentimenti, quando
questi sono profondi, cioè sentiti, e non opportunisti o mercenari, del tipo
“bisogna essere”.
Via Moretti
La partenza è morettiana – il tributo è dichiarato: si gioca al pallone anche in questo Vaticano – o psicoanalitica: il tormentone analitico (morettiano) dell’inadeguatezza. Che non vuole dire niente, ma è un altro modo di chiamare la solitarietà dell’artista, la difficoltà del creativo a rapportarsi agli altri. Specie in quella summa ontologico-metafisica che si vuole da qualche tempo l’esistenza quotidiana, come una filosofia in essere.
Sorrentino, però, se l’ha ponzata in partenza, da buon probabile cliente di strizzacervelli, dell’inadeguatezza poi se ne frega, nel caleidoscopio che crea delle immagini. Un romanzone fa tutto fra preti e monache, ma di persone come noi, fumano anche molto. Con effettacci da romanzo di appendice, quali la serialità richiede, come rovesciamenti e abusi, sotto la levigatezza formale. Compresa la morte presunta che lo conclude, un classico del romanzo già in età classica - se la storia prende, la morte si rivelerà apparente. Con uno sberleffo, da analizzando cronico, al sogno-verità di Freud: il giovane papa si vede in tribuna a esortare all’onanismo, all’omosessualità e all’aborto, cioè all’infecondità, ma il suo è un incubo.
Paolo Sorrentino, The young PopeLa partenza è morettiana – il tributo è dichiarato: si gioca al pallone anche in questo Vaticano – o psicoanalitica: il tormentone analitico (morettiano) dell’inadeguatezza. Che non vuole dire niente, ma è un altro modo di chiamare la solitarietà dell’artista, la difficoltà del creativo a rapportarsi agli altri. Specie in quella summa ontologico-metafisica che si vuole da qualche tempo l’esistenza quotidiana, come una filosofia in essere.
Sorrentino, però, se l’ha ponzata in partenza, da buon probabile cliente di strizzacervelli, dell’inadeguatezza poi se ne frega, nel caleidoscopio che crea delle immagini. Un romanzone fa tutto fra preti e monache, ma di persone come noi, fumano anche molto. Con effettacci da romanzo di appendice, quali la serialità richiede, come rovesciamenti e abusi, sotto la levigatezza formale. Compresa la morte presunta che lo conclude, un classico del romanzo già in età classica - se la storia prende, la morte si rivelerà apparente. Con uno sberleffo, da analizzando cronico, al sogno-verità di Freud: il giovane papa si vede in tribuna a esortare all’onanismo, all’omosessualità e all’aborto, cioè all’infecondità, ma il suo è un incubo.
E via GaboIl soggetto
originario potrebbe essere di Garcia Marquez, il reportage che su “Cambio”, la sua rivista, fece da Roma nel 1999,
in previsione della successione a Giovanni Paolo II, pubblicato anche sul
“Corriere della sera”, “Il
papabile colombiano”: un ritratto del cardinale Darío Castrillón Hoyos, possibile successore, visto attraverso le “diocesi di
frontiera”, di cui era responsabile in Vaticano. Di “cultura popolare e
prudenza rinascimentale”. Che comunica in otto lingue con i parroci di tutto
il mondo. Va spericolato a cavallo. Pratica lo sci nautico. Fuma. E non ha avuto
problemi a incontrare Pablo Escobar,
il trafficante di droga, lui vestito da contadino, il capomafia messicabo da lattaio.
Uno che Sandro Magister su “L’Espresso” definiva
“conservatore a tutto tondo eppure amicissimo dello scrittore di sinistra” Garcia
Marquez. In una curia regolata
dalle donne.Nella mitologia di “Gabo” Sorrentino può
avere trovato anche altre esperienze vaticane. “Il papa sofferente che vedeva
Gesù”, Pio XII, nel 1955, quando “Gabo” fu corrispondente a Roma per un breve periodo.
O l’incontro con papa Woytiła nel 1979, prima dell’attentato, un Woytiła
giovanile e sportivo, con cui si chiusero a chiave nello studio, e poi ebbero
difficoltà a uscirne perché la chiave non girava.
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