Ritradotto da Donata Feroldi, con la
prefazione di Trevi, che ne denuncia le magagne, “Sulla lettura” (qui assortito
con un breve articolo, “Giornate di lettura”, sul’uso del telefono…), è un
saggio del 1905, che un anno dopo Proust ha messo a prefazione di “Sesamo e i
gigli”, la raccolta di saggi di Ruskin da lui curata. Ma con un che di anti-climax,
se non di malevolenza. Il primo scritto della raccolta di Ruskin è proprio
sulla lettura, che articola come conversazione, un dialogo a due. Nient’affatto, dice il prefatore. Fatta la
tara della non insolita perfidietta di Proust, è però un testo interessante,
per più aspetti.
La perfidia Proust esercita qui anche contro
il “volgare” - la cultura di massa, diremmo oggi, o di consumo - e contro Gautier,
di cui pure fa grande uso, oltre che a danno di Ruskin. Dopo una dedica,
rispettosa, alla principessa di Caraman-Chimay…
La lettura è un piacere solitario che ha
anche una funzione di arricchimento culturale e di partecipazione corale -
sociale, politica. Proust è per il piacere solitario: privato, individuale, del
lettore con se stesso più che con l’autore e col resto del mondo. Fin
dall’infanzia, di cui, ricorda, fu uno dei primi piaceri. E per un buon terzo
del saggio anticipa “Dalla parte di Swann” e “All’ombra delle fanciulle in
fiore”, una prova generale della “madeleine”, con nonni e zie a profusione, una
“brioche benedetta”, campanili, chiese, villaggi, fiori, pianoforti e la “Primavera”
di Botticelli. Tutto qui un po’ esibito, senza ritegno.
Per Ruskin la lettura è il centro della
vita intellettuale, per Proust è un mezzo: “La lettura è alla soglia della vita
spirituale; può introdurci a essa: non la costituisce”. Può introdurci se
accentua il suo carattere, di elucubrazione in proprio. Ruskin? “I «Tesori del Re»”,
il testo che Proust contesta, “è una conferenza sulla lettura che Ruskin tenne
all’Hôtel-de-Ville di Rusholme, presso Manchester, il 6 dicembre 1864, per
sostenere la creazione di una biblioteca” pubblica: è mirata a questo scopo. Il
secondo testo di “Sesamo e i gigli” si occupa ancora della lettura, “I giardini
delle Regine”, ma è un altro intervento d’occasione, che Ruskin pronunciò per
sostenere l’apertura di scuole a Ancoats.
Ruskin, concede
Proust, ha fatto proprie le parole di Descartes: “La lettura dei buoni libri è
come una conversazione con le persone migliori dei secoli passati che ne sono
state gli autori”. Lui, forte
dei ricordi d’infanzia che ha evocato in abbondanza con entusiasmo, obietta che
“ciò che le letture lasciano soprattutto in noi è l’immagine dei luoghi e dei
giorni in cui le abbiamo fatte”. La
lettura, comunque, siamo noi, “all’inverso della conversazione consistendo per
ognuno di noi a ricevere comunicazione di un altro pensiero, ma restando del
tutto soli, cioè continuando a godere della potenza intellettuale che si ha
nella solitudine e che la conversazione dissipa immediatamente, continuando a
poter essere ispirato, a restare in peino travaglio fecondo dello spirito su se
stesso”. Il mondo che ha evocato nel primo terzo del saggio è Gautier, “Capitan
Fracassa”, e dunque ha diritto a dirsene lettore-autore – lo fa al punto da
citarlo modificato, con chiasmi e altri artifici.
Leggere, anche
autori amici e intimi, non è apprendere, se non come un inizio, un avvio: “Per
una legge singolare e d’altronde provvidenziale dell’ottica degli spiriti
(legge che significa forse che noi non possiamo ricevere la verità da nessuno,
e che dobbiamo crearcela da noi stessi), ciò che è il termine della loro saggezza
non ci appare che come l’inizio della nostra”.
E “se noi gli facciamo domande alle quali non possono rispondere, gli chiediamo
anche delle risposte che non ci istruirebbero”.
La lettura può avere funzione
terapeutica, oltre che di piacere. Cotro la depressione, o contro l’incostanza,
l’incapacità di applicazione (Coleridge). Ma non è un sostituto: “Diventa
pericoloso al contrario quanto, invece di risvegliarci alla vita personale
dello spirito, la lettura tende a sostituirsi ad essa, quando la verità non ci
appare più come un ideale che noi non possiamo realizzare che col progresso intimo
del nostro pensiero e con lo sforzo del nostro cuore, ma come una cosa materiale,
depositata tra i foglietti dei libri come un miele preparato dagli altri”, da
degustare passivamente. Questo è vero. E vale per il pensatore, il creatore, l’autore,
e per il lettore semplice.
Diversa la
lettura di archivi o documenti, spesso in mezzo a molteplici difficoltà, di accesso,
di autorizzazioni, di trasferimenti. Questa è una professione, dello storico,
del filologo, dell’erudito: “La conquista della verità è concepita in questi
casi come il successo di una sorta di missione diplomatica, nella quale non
sono mancate le difficoltà del viaggio né le incertezze del negoziato”. Per il
letterato è diverso: “Lui legge per leggere, per ritenere ciò che ha letto. Per
lui, il libro non è l’angelo che s’invola appena ha aperto le porte del
giardino celeste, ma un idolo immobile, che adora per se stesso…”. Per il
letterato, anzi, l’erudizione è un rischio.
Oltre che dell’infanzia
dorata si parla anche molto di Gautier. Si parla naturalmente di Sainte-Beuve, sempre
da pover’uomo, uno che non capiva niente e anche un po’ridicolo. E dei
classici, che solo i belli spiriti sanno gustare, di Racine, del vangelo
secondo san Luca, della morte, e dell’amicizia – il libro è l’amico più stretto,
coerente (lo è? qualche volta).
Marcel Proust, Il piacere della lettura, Feltrinelli, pp. 89 € 7
free online in originale, https://beq.ebooksgratuits.com/auteurs/Proust/Proust-lecture.pdf
Nessun commento:
Posta un commento