Non bisogna tentare il diavolo, la madre
dello scrittore lo dice sempre, la celebre Hélène Carrère d’Encausse,
accademica di Francia, ma lui lo fa. Della madre, del rapporto per più versi
teso con lei, parla liberamente qui. E lungamente della lingua russa, Ersatz materno, con la quale ha un
rapporto conflittuale, per quanti sforzi faccia non riesce a padroneggiarla e
spesso la dimentica – mentre è la lingua che “impersona” la madre, storica e
politologa dell’Unione Sovietica. Del padre non parla, ma sì del nonno materno,
figura surrogativa, alla quale infine farà ascendere tutta l’ereditarietà,
quella negativa, che lo imprigiona. In una con la storia di una paternità
incerta, con la donna che ama e pure lo ama. Il trutto è condito da schzzi di
pornografia (il racconto “L’Usage du «Monde»”, che il giornale “Le Monde”
pubblica anche a parte in rete).
L’insalata sa di seduta psicoanalitica,
di programma terapeutico. E probabilmente lo è – dopo dieci o quindici anni di
terapia, tre volte a settimana, l’analista può avere ben consigliato lom
scrittore di fare dei fantasmi un romanzo, a uso pubblico. Ma per quanto lo
scrittotre parli di sé, alla fine non ne sappiamo molto. Né di lui né della
mamma, tanto meno del padre, anche sotto l’aspetto del nonno. Forse la cura non
è buona – Carrère dice da ultimo che è “il libro di una depressione”, ma non è
vero niente: in questo libro riesce a girare un film su una realtà
invonsistente, un sobborgo senza storia di Mosca, rilegge le lettere di venti e
trenta pagine che il nonno scriveva alla nonna, ha incontri “storici” con la
madre celebre, e vive la sua storia d’amore più intensa e più complessa – non è
l’energia che gli manca. Forse l’esercizio è urticante, e per questo non
liberatorio, per il lettore ma anche, all’evidenza pur dovendolo ritenere un
bugiardo, all’autore.
Un tenativo di uscire d’analisi
appassionante ma alla fine catastrofico: esagerato, inutile. È una confessione
pubblica liberatoria? La chiesa da tempo non la pratiuca, il narcisismo
prevale, il primo dei peccati capitali.
La chiave analitica è anche nel racconto
porno. Una dichiarazione d’amore, conclude lo stesso Carrère, che invece avvia
una dolorosa separazione, “il principio del piacere essendosi scontrato col
duro principio di realtà”. L’estate di due anni fa”Le Monde” ha esumato questo piccolo fait divers, evento di cronaca letteraria.
Il 20 luglio 2002, nell’edizione datata 22 luglio, “Le Monde” pubblica in appendice
un racconto erotico di Carrère, “L’Usage du «Monde»”. Che deve esere letto il
girono dell’uscita dalla compagna dello scrittore, nel treno da Parigi a La Rochelle,
dove lui l’aspetta. Una specie di regalo a sorpresa. La cosa va al contrario. È
Carrère che deve di corsa rientrare a Parigi, e poi prende il treno per la Rochelle,
quello che avrebbe dovuto prendere la sua compagna. Dove nessuno legge il
racconto. E la cosa è registrata da due reporter che “Le Monde” ha mandato allo
stesso scopo, per vedere l’effetto che fa. Nulla di eccezionale, se non che
nell’occasione, per una serie di disguidi, l’autore scopre che l’amata, benché
inamoratissima, lo tradisce, e anzi aspetta un bambino, non suo. Commentando l’’affare
due anni fa, Carrère lo chiama “un dispositivo perverso”: “Abbiamo vissuto una
specie di 11 settembre privato, e io ho ricevuto una lezione sferzante: quando
si gioca al demiurgo, che si tenta come io ho fatto di controlare il reale, il reale
si vendica, e senza pietà”. Una conclusione da analista..
Il racconto Carrère pubblicò su “Le Monde”
con l’e-mail - che ripete nel romanzo - e quindici anni più tardi continua a
ricevere posta sull’argomento,di tono “piuttosto positivo”. Ma “Le Monde” dovette
nel 2002 consacrare una pagina della posta dei lettori, e il suo stesso commento,
a fare ammenda. Non per motivi moralistici. Il racconto, telescopato a distanza
dall’autore sulla sua amante, è oltraggioso e frigido - sembra Moravia: “Mi piace
che la letteratura sia efficace, mi piacerebbe idealmente che sia performativa,
nel senso in cui i liguisti definiscono un enunciato performativo, l’esempio
classico esendo la frase «dichiaro guerra»…. Da “buon ossessivo”, commenta lui
stesso.
“Il tipo murato in un manicomio”è il suo
“soggetto”, Carrère rivendica in apertura. E ha ragione, il lettore va a Limonov,
Dick, san Paolo, san Luca, l’“Avversario”, un mitomane che infine stermina la
famiglia, un racconto che ha preso sette anni di lavoro. Anche qui Carrètre ne
ha uno, la prima storia della compilazione: l’ultimo prioniero di guerra in Russia, un ungherese seppellito
per quasi mezzo secolo in un manicomio. “Un’ultima storia di reclusione, e sarà
la storia dela mia liberazione”, proclama accettando l’incarico di coprire l’evento.
Ma non è così che funziona: il selfie
non è una cura, più uno scava e più s’infogna – è un racconto come un altro,
spettacolo.
Emmanuel Carrère, La vita come un romanzo russo, Einaudi, pp. 275 € 12
L’Usage
du “Monde”,
free online
http://medias.lemonde.fr/medias/pdf_obj/nouvelle2.pdf
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