Una superedizione, in originale francese
con la traduzione di Umberto Eco, la prefazione dello stesso Eco alla prima
ediizione italiana, e una postfazione di Bartezzaghi . nonché materili
preparatori e una prefazione dello stesso Queneau nel 1963. Quasi di un classico.
Che non è tale. È anzi una rivolta dell’auore contro se stesso, contro le
possibilità o la desiderabilità della narrazione, tanto la rende inconsistente.
Un anticipo di decostruzione, dall’interno, come un suicidio d’autore. Prose brevi e brevissime, molto organizzate
secondo i canoni della retorica e tuttavia umorali, quasi annoiate, di
non-eventi, sogni, parodie, parodie della parodia, tutte bruciate all’acido
dell’ironia – una satira più che un’impresa conoscitiva o pedagogica, amara. Eco
ne vuole fare una poetica, ma Queneau sfugge, anche a lui.
Precursore, nel 1947, del teatro dell’assurdo,
di Adamov e Ioneco, mette in scena (anche in senso proprio, molti cabarettisti
vi si sono esercitati quando c’era l’arte del cabaret), un giovane che il
narratore incontra sull’autobus, dal colo lungo e un cappello con una treccia
al posto del nastro, che ha un piccolo diverbio con un altro viaggiatore e e poi
prende un posto che s’è liberato, Questo
stesso icontro è raccontato novantanove volte, in novantanove versioni
differenti. Ogni pezzullo ha titolo dalla stilistica: Poliptot, Aferesi,
Apocope… e anche Tanka
Definita anti-surrealista perché alza un
mutro contro il flusso di coscienza, la narrazione Queneau anzi vuole di testa,
questa degli “Esercizi” in realtà non è una narrazione, è una anti-narrazione.
Per ciò stesso, a chi non è studioso di retorica, o delle avanguardie (che sono
retorica), indigesta – per ridere bisogna avere interpreti che ne sappiano
estrarre il riso, questione di tempi e metodi. . ,
Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, pp. XIX-309 € 12,50
Nessun commento:
Posta un commento