“Ben
diciassette agenzie di intelligence americane confermano che c’è il Cremlino
dietro le intromissioni degli hacker!”, così Hillary Clinton nell’ultimo
dibattito avrebbe zittito Trump, che si vuole longa manus della Russia.
Tutto
allora è inverosimile. Gli Usa hanno diciassette agenzie di intelligence, come
in un romanzo di Dick, o di Orwell. L’affarista e candidato presidenziale
Trump, vincitore solitario già di un’elezione, le primarie, è spia o agente
della Russia. In itinere,
grazie ai vantaggi alla partenza (essere donna dopo il presidente nero, con l’appoggio
quotidiano dello stesso), una presidente che è stata moglie fedele di un presidente fedifrago,
ed è con la sua pingue fondazione nel libro paga dei potentati arabi del Golfo,
per conto dei quali ha fato la guerra in Libia e in Siria. .
È
teatro, probabilmente: gli Usa hanno spesso avuto presidenti inverosimili, la
macchina va avanti da sola. Ma le diciassette agenzie di intelligence non hanno
prevenuto il blocco cibernetico di mezzo paese, e non sanno nemmeno da chi viene
l’attacco: sono polizie sporche in realtà, per conto di mafie politiche.
L’Occidente
prospera perché non ha rivali. Nel vuoto che è succeduto alla sfida sovietica,
ma senza nessun giudizio.
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