Buddismo – È – è recepito
come – un anestetico. Insegna a rimondare (d a “rimonda”,)-potare,rimuovere le
passioni: desideri, sofferenze, coinvolgimenti. Fa della “inadeguatezza” un
volontario esercizio, dell’inappetenza. Dell’socialità sotto forma di
disponibilità totale..
Nietzsche
lo compara favorevolmente al cristianesimo perché “più freddo, più obiettivo,
più veridico”. Obiettivo? Veridico? Nietzsche era un Gran Lettore, frettoloso.
Destino – È più spesso, Kant lo sa, una buona coscienza.
Ma allora dovrebbe essere individuale, mentre più spesso ancora è collettivo, specie
quando è avverso (una guerra, un terremoto), e senza colpa.
E non c’è un destino dei luoghi? Quelli
esposti ai terremoti ma non solo. Il Reno a vederlo non si direbbe, pacifico e
fiabesco, nelle anse, i vapori, ma è pure quello delle mille sanguinose
battaglie per nulla, per attraversarlo – “Der Rhein, sei Lebensraum, sein
Schicksal”, lo spazio e il destino del Reno, del geopolitista Karl Haushofer, è
tutto un inno allo “spazio vitale”, che tanti lutti ha addotto. Carini è il
luogo della Baronessa e, in quanto Hyrcana dei Sicani, patria di Laide, “la cui
divina bellezza generò Eros”. Sapri, prima che a Pisacane, fu fatale a Adelchi,
che vi sbarcò da Costantinopoli, dove più spesso viveva, per finire trucidato a
Benevento. “Muto e silenzioso\ il cuor mio si rinvigorì”, è il motto del paese
di Sciascia. È virtù romana ma potrebbe essere il motto della mafia. Il
Età - Nietzsche afferma che ognuno fa la
filosofia caratteristica della sua età, l’età anagrafica. Una filosofia, quindi,
della maturità e una di gioventù – e dell’infanzia? Ma l’età può non essere
quella anagrafica, del numero degli anni.
Il prezioso Cerruti-Rostagno, l’ultimo
vocabolario con “ricca nomenclatura, figurata e non figurata”, calcolava sei
età: infanzia fino ai sette anni, fanciullezza fino ai dodici, adolescenza fino
ai diciotto, giovinezza fino ai trenta, virilità fino ai cinquanta, e oltre,
improvvisamente, vecchiaia. La tendenza va a semplificare, con un’età di mezzo
e una terza età, il resto come se fosse fuori del tempo.
Una volta si era tassonomici: i venticinque
anni erano richiesti per la maggiore età in Italia fino alla prima guerra,
eccetto che per fare la guerra: chi si sposava di ventiquattro doveva esibire
un paio di tutori. I turkmeni tuttora prolungherebbero
l’adolescenza ai venticinque, dopo una infanzia stiracchiata fino ai dodici, e
la gioventù ai trentasette. Possono così oziare la metà della vita, e l’altra
metà godersela: la maturità è breve, dodici anni, fino ai quarantanove.
Dopodiché diventano profetici per dodici anni, fino ai 61, ispirati fino ai 73
e saggi fino agli 85. Passati gli 85 possono morire. Anche i romani antichi
avevano sette età, e se la prendevano comoda come i turkmeni, spostando l’età
attiva verso i quaranta.
Sarebbe solo logico ribaltare il principio
dell’eredità in morte o vecchiaia, a vantaggio immediato dei giovani, ai quali
incombe la costruzione del futuro. .
Gioventù – È tendenza durevole, ormai da mezzo
secolo, in tutti i continenti - eccetto la Cina. Ma c’è giù tutta nei riti
classici, la coprolalia delle ragazze inclusa e lo streaking, nei riti
tribali che manifestano i significati nel corpo, in linguaggi epilettici, e li
secretano nell’iniziazione: la gioventù è argine alla mediocrità. Napoleone fu
generale a venticinque anni, Alessandro morì a trentatré, Robespierre a trentacinque,
tardi. E chi non è generale a quell’età non merita di diventarlo, si diceva a
Parigi fino al Settecento.
Lo scrittore Céline concorda: “La civiltà
occidentale è anale, la qualità si associa al botto di un peto venuto bene, e
chi non rinnega il culo e se ne assume la responsabilità è l’Uomo, l’Eroe,
Giulio, Orlando: i nostri Eroi non escono dalla infanzia”. I rivoluzionari del
Novecento, secolo sciocco ma ricco, ricchissimo come non mai, e democratico
benché deragliato, Mussolini, Stalin, Hitler, hanno confidato nei giovani – Hitler stesso,
cancelliere a 44 anni, è un giovane. E
Heidegger, che studenti e professori voleva senza gerarchia e lo studente disse
motore della rivoluzione, lo studente lavoratore. O il Presidente Mao: “I
giovani sono la forza attiva e vitale della società. I giovani imparano meglio
e sono meno conservatori”. Il segreto è che i giovani non lavorano. Non sanno
che fare, ma il lavoro stanca.
Ipocondria – È un patire aggressivo.
Anche molto, è una forma di vampirismo. Inattaccabile perché è una debolezza e
una passività, ma è una che lega a sé la vita circostante, che infetta e ammorba,
mentre lei non deperisce, e anzi si nutre dell’infezione. Non c’è – non è
possibile - nella solitudine.
È
una di quelle condanne a morte senza costi vivi inventate dalla rivoluzione
francese, che consisteva nel legare il vivo a un morto come zavorra e poi buttarlo
in mare, perché il morto lo trascinasse lentamente al fondo.
Religione – Freud la vuole ricerca
del padre – un “complesso del padre”. E della madre?
Vecchiaia – Abbie Hoffman e Jerry Rubin proponevano cinquant’anni fa di
uccidere i padri e cancellare all’anagrafe chi compie trent’anni - l’età era
allora discriminante, ai tavoli negoziali operai-studenti oltre che a mensa
all’università. Un governo volevano di Roboam, dove, dice la Bibbia, i giovani
comandano sui vecchi. Un limbus patrum. La vecchia pratica degli
svedesi trogloditi, i nomadi dell’antico Egitto, i sardi, di uccidere gli
anziani a colpi di clava o pietra.
Gli indiani del Brasile uccidevano così gli
infermi. I massageti e i derbicciani uccidevano gli ultrasettantenni. E i
càtari pii di Monforte d’Alba o Asti, che le endura abbreviavano alla fine, i suicidi dei saggi anziani per
digiuno, per evitare loro i patimenti dell’agonia. Gli abitanti dell’isola di
Choa, dove l’aria pura dà lunga vita, ci pensavano invece da soli: prima
dell’ebetudine o la malattia i vecchi prendevano la papaverina o la cicuta.
Analogamente l’eschimese o inuit che, prossimo alla fine, inutile alla
famiglia, esce dall’iglù e si perde nel pack.
Fra i batak di Raffles, esploratore fededegno,
che sarebbero i dagroian di Marco Polo, i vecchi erano mangiati: “Un uomo che
sia stanco di vivere invita i figli a divorarlo nel momento in cui il sale e i
limoni sono a buon mercato”.
Limbus
patrum, o sinus Abrahae, è nella scolastica il posto sottoterra,
non paradiso né inferno, dove chi ben meritò in base al futuro Nuovo Testamento,
patriarchi, profeti, restò fino alla vittoria di Cristo su Satana, distinto dal
limbus infantum, dei neonati non battezzati. Il consiglio di
Roboam è nel libro dei Re.
zeulig@antiit.eu
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