L’ebraismo (storico, culturale, modo di
essere) causa e impersona lo sradicamento. Che è – è diventato – la condizione
storica dell’Occidente. Non la causa, la cosa stessa. Comune all’americanismo
come al bolscevismo: la civiltà della tecnica che sterilizza – o della
razionalità, o dell’oggettività. “Occorre un popolo a ogni inizio”, Nancy
sintetizza Heidegger “E ne occorre uno
anche a ogni fine”. Più chiaramente: “Il popolo ebraico appartiene in maniera
essenziale al processo di devastazione del mondo”. È tutto qui l’antisemitismo
di Heidegger – è poco?
La banalità è intesa nel senso di
“normalità”. Di senso comune. Corrente nel caso dell’antisemitismo negli anni
1930. La banalità di Heidegger e del suo antisemitismo è di essere normale.
Tanto più per essere blando, scontato, accettato tranquillamente senza mai
porsi una domanda. A un certo punto Nancy rileva con orrore che Heidegger segue
i “Protocolli di Sion”, l’antisemitismo “più banale, volgare, triviale e
tornbido”: “La prossimità fra i discorsi di Heidegger e quel testo (i temi del
calcolo, della democrazia, della manipolazione, dell’internazionalismo) non
lascia dubbi”. Ma così, non per cattiveria, non c’è nemmeno bisogno di indagare
se Heidegger abbia letto i “Protocolli”, si affretta a dire Nancy, erano nell’aria
del tempo. In una con le critiche al nazismo, e al cristianesimo, di cui i
“Quaderni neri” abbondano.
Come insinuare che gli umori del
filosofo non erano filosofici. Ma non c’è anche qualcosa di più? Non
biasimevole? Nancy dice di sì, ma se ne ritrae – seppure con le mani nei
capelli: “da non credere”, commenta un paio di volte, “senza parole”, lo
Heidegger dei “Quaderni”. Che non contengono parole approssimate o avventate,
ma caute e curate, e riviste anzi per la pubblicazione.
Ma allora la banalità, “normale”, è di
una certa cultura, che specialmente nel Novecento ha attaccato e corroso
l’Occidente – e tuttora lo insidia. Ed è la non banale “cultura tedesca”. Per
Heidegger – come per Thomas Mann – l’Europa e l’Occidente sono impegnati “in un
formidabile autoannientamento delle proprie forze e delle proprie tendenze”.
Anzi, è in questa deriva che si innesta il loro (anche di Thomas Mann)
antisemitismo “banale”, in quanto sarebbe l’ebraismo ad avere dirottato e
portato a mali passi – l’“autoannientamento” – l’Europa e l’Occidente. Questo
perché l’Europa non ha accettato l’egemonia tedesca – argomento non filosofico
e quindi trascurato, ma ineliminabile..
È la conferenza, rivista, con un
postscriptum, al convegno “Heidegger und die Juden” allo
Heidegger Institut di Wuppertal due anni
fa. Una lettura per più aspetti analoga e contemporanea a Donatella Di Cesare, “Heidegger
e gli ebrei”. Ma già Lyotard sapeva, “Heidegger e gli ebrei”, 1989. L’ipotesi è
che Heidegger è “rimasto profondamente attaccato all’odio di sé che ha
continuato a caratterizzare l’Occidente – almeno da Roma in poi”. Che è un po’
prenderla alla larga. Più in concreto (“il fatto sussiste“), “il pensiero di
Heidegger, nella misura in cui si è sottomesso, negli anni 1930-1945, al motivo
dell’inizio e della storicità – di un’unica storicità – ha fatto ricorso
all’antisemitismo”. Lo ha fatto “con una certa vergogna”, dissimulando, “ma la
dissimulazione e la confusione spesso caratterizzano l’antisemitismo”. E
insomma, menala come vuoi, “si è fatto istupidire e trascinare nella peggiore e
nella più malevola banalità. Fino all’insostenibile”.
Un tentativo molto amorevole di
“salvare” Heidegger, alla maniera della sua sempre innamorata Hannah Arendt,
che lo diceva un orso che si armava da sé le sue trappole, per eccesso
d’ingegno. Insomma, un po’ cretino. Ma Heidegger non stimava Hannah. Si può
girare attorno ai fatti, ma non si cancellano.
Heidegger non era razzista. Non nel
senso del razzismo “biologico”, che più volte condanna e irride. Ma sì nel
senso di “tutti quanti”. Non codnanna mai le persecuzionik antisemite, neppure
quella propagandate, come la Kristallnacht. E non dice una parola nei trent’anni
abbondanti che visse e pensò dopo la guerra, sulla persecuzione degli ebrei, se
non dello sterminio. Per quanto il “motivo dell’inizio e della storicità” possa
averlo zavorrato, la constatazione è inevitabile: “Bisognava che si
distruggesse l’agente della distruzione occidentale”. Un’altra maniera per
dire: bisognava distruggere gli ebrei. Il ragionamento semmai si rovescia, e
Nancy non evita, trasognato, di farlo: “Heidegger non è stato solo antisemita:
ha voluto pensare fino al suo punto più estremo una necessità costitutiva e
storico-destinale dell’antisemitismo”.
Heidegger è tornato postumo col
testamento “Solo un Dio ci potrà salvare”. Ma qui, nel terzo dei “Quaderni
neri” che viene commentato, Nancy dice che l’aveva sostituito con un “Solo la
Russia (Russentum) ci potrà salvare”,
il Volk russo dopo il Volk tedesco. Ma certo, si sa, Heideggere
è per il Volk, il popolo. “Senza connotazioni negative di razza”, gli
concede Nancy. Il suo popolo è ciò che proviene da “un incontro appropriato fra
un’umanità e una divinità”: “Un popolo è ciò che proviene da questo incontro\risposta
e che apre perciò una possibilità storica”. E il popolo ebraico, checché se ne
possa pensare con tutti i suoi testi sacri, il Dio Unico, la creazione, intriso
di divino fino al beghinismo, non ha religione. Questa sì che è una scoperta.
La religione l’ebreo l’ha perduta con la dispersione: “La questione intorno al
ruolo dell’ebraismo mondiale non è una questione razziale, ma è la questione
metafisica intorno al tipo di modalità dell’umano che, in quanto assolutamente priva di vincoli, può assumeere come
«compito» storico-universale lo sradicamento di ogni ente dall’essere”. Questo
è Heidegger, e in effetti non c’è molto da pensare.
Jean-Luc Nancy, Banalità di Heidegger, Cronopio, pp. 78 € 11
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