“Si vive soli, la nostra vita è in
ufficio. La società è collusa o compiacente”. Sembrano parole gravi, ma il
Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, le
dice, senza nemmeno rincrescimento. Il Procuratore ambisce a una sede più importante,
la sua Napoli, Roma, Milano? Come si può governare una città e una provincia,
mezzo milione di persone, disprezzandole?
Non è molto che il maresciallo
dei Carabinieri era benvoluto e rispettato in Calabria. Figurarsi un giudice,
persona di tutte la più stimata. Ora, è vero, i Carabinieri vivono barricati nelle
caserme, con i ferri alle finestre. Forse per questo gliele hanno costruite
quattro e cinque volte più grandi.
Il Procuratiore de Raho presiede
alla promozione di una serial Mediaset sulla ‘ndrangheta. Invitato d’onore. Che
ne avrebbe detto il vecchio maresciallo?
Il presidente del Cnr Inguscio fa un’intervista
con Giovanni Caprara, redattore scientifico del “Corriere della sera”, su un
piano di investimenti in tecnologia al Sud. Ma l’intervista non esce, se non in
occasione del terremoto, preceduta da un cappello che dice che il Cnr monitorizza
il territorio, e farà il possibile pe metterlo in sicurezza.
Il
terremoto eversore
Sul Montalto in Calabria, in un’alba che
gli richiama “la creazione del mondo”, idilliaca, serena, Umberto Zanotti
Bianco riflette, nel racconto “Aspromonte” (“Tra la perduta gente”), sulla
cancellazione della storia. O il perché di tanta desolazione, quanta ne
riemerge di continuo nella Calabria che ama e dove ha scelto di vivere:
“Morti di stupore, come assistessimo al miracolo
della creazione del mondo, erravamo da una sponda all’altra della nostra vedetta,
mentre nel mare lentamente emergeva tutt’intera la punta del piede d’Italia, con la
Sicilia, che di lassù sembrava unita al continente, e sparse in quell’infinito,
petali disseminati dal vento, le Eolie” – nella luce trasmuta nelle gradazioni
dello spettro solare.
“Che cosa resta più delle famose città
che i Greci fondarono su questi due mari e che ebbero una fioritura così vivida
e intensa, oltre l’alone di poesia e di gloria che circonda i loro nomi? Faticosamente
l’archeologo tra dense macchie e acquitrini disseppellisce fondamenta solitarie
di templi, rocchi di colonne, frammenti di terrecotte… Ma non un’anima è
tormata a dire il perché di tangta desolazione.
“Roma, che dovunque è passata ha
lasciato tracce grandiose della sua potenza, qui dove, per affrontare i Bruzi e
più ancora i Cartaginesi, ha fatto il deserto, è quasi del tutto muta o assente.
“Bisanzio, che in queste sue estreme
marche occidentali, tante volte difese dalle ondate di Arabi e di Longobardi, vide
affluire dall’Oriente torme di monaci migranti e fiorire una santa tebaide, a null’altro
ha legato il suo nome che a qualche umile chiesetta, a qualche lembo di
affresco.
“Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi,
tutti gli stranieri che hanno riempito questa terra, tra clangore d’arme di guerre
devastatrici e una intensa e capace vita amministrativa, di tante grandi
costruzioni, di tanti imponenti castelli, e che hano scatenato passioni così feroci
che ancrta oggi leggendo le loro cronache non è posibile non parteggiare per gli
uni o per gli altri, quale testimonianza della loro stora ci hano tramadato in giustizierato
se non la taciturna solennità delle dirute rocche feudali.
“Tutto cioò che altrove forma la vivente
tradizione di una terra, il retaggio d’arte e di bellezza dei padri, la
silenziosa educatrice della sensibilità nazionale, qui è stao distrutto, se non
dalla violenza degli uomini, dalla furia apocalittica degli elementi, che con
persistente attacchi hanno di secolo in secolo raso al suolo quanto nelle epoche
precedenti s’era salvato. Tutto ciò che non è stao affidato esclusivamente alla
vita dello spirito, penetrando nel profondo delle esperienze umane, qui è naufragato
nel silenzio e nell’oblio.
“Quale meraviglia, se nella perpetua
vedovanza del patriomonio che crea alle collettività la poesia dell’esistenza,
se davantri a quest’eterno richiamo alla morte, gli spiriti siano andati in
cerca della città del sole per evadere dalla loro città terrena impastata di lacrime
e di sangue, e che da queste montagne sia sporto il canto più profetico, l’aspettazione
più trepida della terza epoca della pace
e dell’amore?” – con richiami a Campanella e Gioacchino d aFiore..
Ciancimino
Sancimino.
Ha scritto libri, ben recensiti, ha occupato
i giornali, ha promosso processi, ha movimentato udienze, era un imbroglione, e
si vedeva, ma non per i giudici e i Carabinieri. È la storia di Massimo
Ciancimino, figlietto furbo e agile di Vito Ciancimino, il referente politico
palermitano della mafia per un trentennio. Anche ora che la cosa è sancita in
Tribunale, Ciancimino jr. resta un eroee. Non lo invitano più ai talk-show perché
sarà in quache forma di carcerazione. Ma chi dubita del giovanotto?
Solo una giudice, che se lo è trovato
“prova” della Procura di Palermo al suo processo, il primo dello Stato-mafia (un secondo è in Corte d’Assise).
La giudice, Marina Petruzzella, ci ha messo tre anni per dirimere il
dibattimento - a Palernmo, città emintemente antimafiosa, bisogna stare parati, - e uno per scrivere la
sentenza, ma infine non ha dubbi: “L’analisi integrale delle dichiarazioni di
Massimo Ciancimino ne ha rivelato l’assenza di coerenza e ha reso palese la
strumentalità del comportamento processuale, la gravità degli artifici
adoperati per rendere credibili le sue molteplici contraddizioni, e per tenere
sulla corda i pubblici ministeri col postergare
la promessa di consegnare loro il papelo, carpirne così la
considerazione e mantenere sempre alta su di sé l’attenzione, accompagnato nel
suo luminoso cammino dalla stampa e dal potente mezzo televisivo, stuzzicati
con altrettanta astuzia”.
L’iventore del “palello”: “In particolare,
sul finire del 2008, creava abilmente nei pm, che lo interrogavano sulla
trattativa tra il padre e i due carabinieri del Ros, l’aspettativa del papello.
Che forniva solo in fotocopia sul finire del 2009”, cioè dopo un anno, “dopo
averli riempiti di documenti del padre, selezioanti a sua scelta”. I giudici beffati dal giovincello, insomma,
strumentale, contraddittorio, astuto.
Che “creava” nei magistrati astuti “l’aspettativa del papello”. Facendoli però
godere, si può aggiungere – e quanto non lo hanno speso sui giornali.
Nel merito, su Calogero Mannino, l’ex
ministro Dc accusato dal pentito Brusca, una prosa meno limpida ma anch’ssa
precisa: “Gli (a Brusca) venivano suggerite delle molteplici solecitazioni,
ricevute nel corso di interrogatori, a volte anche mpolto sofisticati”.
Nessun dubbio che Petruzzella prima o
poi sarà processata, un concorso esterno in qualcosa ce l’avrà pure. La partita
è anche impari: una con tro quattro, tanti sono i Procuratori dello
Stato-mafia, - per non dire dei
giornalisti al seguito (Petruzzella fa notizia un giorno, forse due, i Procuratori
danno notizie ogni giorno).
Ma che fine ha fatto il supertestiomone,
il beffardo Ciancimino jr.? Papello a Palermo non significa il papa, neppure
infante: è il vangelo secondo Ciancimino – Ciancimino Sancimino?
San
Luca in Algeria
Si ritrova il paese di Corrado Alvaro,
in un racconto dello scrittore algerino Yasmna Khadra, “Cugina K”:
“La montagna, in lontananza, ha la
superbia scorticata.
“Il fiume che essa secerne non raggiungerà
mai il mare. È un paese arido, imbronciato e ostile, nato unicamente per
subire. I suoi abitantiknon lo amano. Lo maledicono giorno e notte. Ogni disgrazia
che vi si staglia sull’orizzonte precorre tutte le altre. Né il sudore né il
sangue sono riusciti a placare un suolo
ingrato. Con la nevee la grandine, la pietraia trionfa nel corso degli anni,
mentre lo sgaurdo pieno di fiele dei fellah
si nuttre di risentimento”.
Semra una descrizione di San Luca – il
Bonamico ariva al mare, ma per vie traverse, confluendo qua e là. C’è anche il
“castello”, il palazzetto del signorotto Stranges che Alvaro avrà sulla coscienza.
E invece è il Doura Yatim, “villagio orfano”, degli erg, i rilievi premontuosi dell’Atlante, la mlontagna maghrebina,
proprio come a San Luca.
C’è un che di saraceno nell’eredità del
Sud. Retaggio fenicio? berbero? arabo?
leuzzi@antiit.eu
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