lunedì 7 novembre 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (306)

Giuseppe Leuzzi

“Si vive soli, la nostra vita è in ufficio. La società è collusa o compiacente”. Sembrano parole gravi, ma il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, le dice, senza nemmeno rincrescimento. Il Procuratore ambisce a una sede più importante, la sua Napoli, Roma, Milano? Come si può governare una città e una provincia, mezzo milione di persone, disprezzandole?

Non è molto che il maresciallo dei Carabinieri era benvoluto e rispettato in Calabria. Figurarsi un giudice, persona di tutte la più stimata. Ora, è vero, i Carabinieri vivono barricati nelle caserme, con i ferri alle finestre. Forse per questo gliele hanno costruite quattro e cinque volte più grandi.

Il Procuratiore de Raho presiede alla promozione di una serial Mediaset sulla ‘ndrangheta. Invitato d’onore. Che ne avrebbe detto il vecchio maresciallo?

Il presidente del Cnr Inguscio fa un’intervista con Giovanni Caprara, redattore scientifico del “Corriere della sera”, su un piano di investimenti in tecnologia al Sud. Ma l’intervista non esce, se non in occasione del terremoto, preceduta da un cappello che dice che il Cnr monitorizza il territorio, e farà il possibile pe metterlo in sicurezza.

Il terremoto eversore
Sul Montalto in Calabria, in un’alba che gli richiama “la creazione del mondo”, idilliaca, serena, Umberto Zanotti Bianco riflette, nel racconto “Aspromonte” (“Tra la perduta gente”), sulla cancellazione della storia. O il perché di tanta desolazione, quanta ne riemerge di continuo nella Calabria che ama e dove ha scelto di vivere:
“Morti di stupore, come assistessimo al miracolo della creazione del mondo, erravamo da una sponda all’altra della nostra vedetta, mentre nel mare lentamente emergeva tutt’intera la punta del piede d’Italia, con la Sicilia, che di lassù sembrava unita al continente, e sparse in quell’infinito, petali disseminati dal vento, le Eolie” – nella luce trasmuta nelle gradazioni dello spettro solare.
“Che cosa resta più delle famose città che i Greci fondarono su questi due mari e che ebbero una fioritura così vivida e intensa, oltre l’alone di poesia e di gloria che circonda i loro nomi? Faticosamente l’archeologo tra dense macchie e acquitrini disseppellisce fondamenta solitarie di templi, rocchi di colonne, frammenti di terrecotte… Ma non un’anima è tormata a dire il perché di tangta desolazione.
“Roma, che dovunque è passata ha lasciato tracce grandiose della sua potenza, qui dove, per affrontare i Bruzi e più ancora i Cartaginesi, ha fatto il deserto, è quasi del tutto muta o assente.
“Bisanzio, che in queste sue estreme marche occidentali, tante volte difese dalle ondate di Arabi e di Longobardi, vide affluire dall’Oriente torme di monaci migranti e fiorire una santa tebaide, a null’altro ha legato il suo nome che a qualche umile chiesetta, a qualche lembo di affresco.
“Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, tutti gli stranieri che hanno riempito questa terra, tra clangore d’arme di guerre devastatrici e una intensa e capace vita amministrativa, di tante grandi costruzioni, di tanti imponenti castelli, e che hano scatenato passioni così feroci che ancrta oggi leggendo le loro cronache non è posibile non parteggiare per gli uni o per gli altri, quale testimonianza della loro stora ci hano tramadato in giustizierato se non la taciturna solennità delle dirute rocche feudali.
“Tutto cioò che altrove forma la vivente tradizione di una terra, il retaggio d’arte e di bellezza dei padri, la silenziosa educatrice della sensibilità nazionale, qui è stao distrutto, se non dalla violenza degli uomini, dalla furia apocalittica degli elementi, che con persistente attacchi hanno di secolo in secolo raso al suolo quanto nelle epoche precedenti s’era salvato. Tutto ciò che non è stao affidato esclusivamente alla vita dello spirito, penetrando nel profondo delle esperienze umane, qui è naufragato nel silenzio e nell’oblio.
“Quale meraviglia, se nella perpetua vedovanza del patriomonio che crea alle collettività la poesia dell’esistenza, se davantri a quest’eterno richiamo alla morte, gli spiriti siano andati in cerca della città del sole per evadere dalla loro città terrena impastata di lacrime e di sangue, e che da queste montagne sia sporto il canto più profetico, l’aspettazione più trepida della  terza epoca della pace e dell’amore?” – con richiami a Campanella e Gioacchino d aFiore..

Ciancimino Sancimino.
Ha scritto libri, ben recensiti, ha occupato i giornali, ha promosso processi, ha movimentato udienze, era un imbroglione, e si vedeva, ma non per i giudici e i Carabinieri. È la storia di Massimo Ciancimino, figlietto furbo e agile di Vito Ciancimino, il referente politico palermitano della mafia per un trentennio. Anche ora che la cosa è sancita in Tribunale, Ciancimino jr. resta un eroee. Non lo invitano più ai talk-show perché sarà in quache forma di carcerazione. Ma chi dubita del giovanotto?
Solo una giudice, che se lo è trovato “prova” della Procura di Palermo al suo processo, il primo  dello Stato-mafia (un secondo è in Corte d’Assise). La giudice, Marina Petruzzella, ci ha messo tre anni per dirimere il dibattimento - a Palernmo, città emintemente antimafiosa, bisogna stare parati, - e uno per scrivere la sentenza, ma infine non ha dubbi: “L’analisi integrale delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino ne ha rivelato l’assenza di coerenza e ha reso palese la strumentalità del comportamento processuale, la gravità degli artifici adoperati per rendere credibili le sue molteplici contraddizioni, e per tenere sulla corda i pubblici ministeri col postergare  la promessa di consegnare loro il papelo, carpirne così la considerazione e mantenere sempre alta su di sé l’attenzione, accompagnato nel suo luminoso cammino dalla stampa e dal potente mezzo televisivo, stuzzicati con altrettanta astuzia”.
L’iventore del “palello”: “In particolare, sul finire del 2008, creava abilmente nei pm, che lo interrogavano sulla trattativa tra il padre e i due carabinieri del Ros, l’aspettativa del papello. Che forniva solo in fotocopia sul finire del 2009”, cioè dopo un anno, “dopo averli riempiti di documenti del padre, selezioanti a sua scelta”. I  giudici beffati dal giovincello, insomma, strumentale, contraddittorio,  astuto. Che “creava” nei magistrati astuti “l’aspettativa del papello”. Facendoli però godere, si può aggiungere – e quanto non lo hanno speso sui giornali.
Nel merito, su Calogero Mannino, l’ex ministro Dc accusato dal pentito Brusca, una prosa meno limpida ma anch’ssa precisa: “Gli (a Brusca) venivano suggerite delle molteplici solecitazioni, ricevute nel corso di interrogatori, a volte anche mpolto sofisticati”.
Nessun dubbio che Petruzzella prima o poi sarà processata, un concorso esterno in qualcosa ce l’avrà pure. La partita è anche impari: una con tro quattro, tanti sono i Procuratori dello Stato-mafia,  - per non dire dei giornalisti al seguito (Petruzzella fa notizia un giorno, forse due, i Procuratori danno notizie ogni giorno).
Ma che fine ha fatto il supertestiomone, il beffardo Ciancimino jr.? Papello a Palermo non significa il papa, neppure infante: è il vangelo secondo Ciancimino – Ciancimino Sancimino?

San Luca in Algeria
Si ritrova il paese di Corrado Alvaro, in un racconto dello scrittore algerino Yasmna Khadra, “Cugina K”:
“La montagna, in lontananza, ha la superbia scorticata.
“Il fiume che essa secerne non raggiungerà mai il mare. È un paese arido, imbronciato e ostile, nato unicamente per subire. I suoi abitantiknon lo amano. Lo maledicono giorno e notte. Ogni disgrazia che vi si staglia sull’orizzonte precorre tutte le altre. Né il sudore né il sangue sono riusciti a placare  un suolo ingrato. Con la nevee la grandine, la pietraia trionfa nel corso degli anni, mentre lo sgaurdo pieno di fiele dei fellah si nuttre di risentimento”.  
Semra una descrizione di San Luca – il Bonamico ariva al mare, ma per vie traverse, confluendo qua e là. C’è anche il “castello”, il palazzetto del signorotto Stranges che Alvaro avrà sulla coscienza. E invece è il Doura Yatim, “villagio orfano”, degli erg, i rilievi premontuosi dell’Atlante, la mlontagna maghrebina, proprio come a San Luca.
C’è un che di saraceno nell’eredità del Sud. Retaggio fenicio? berbero? arabo?

leuzzi@antiit.eu 

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