“Due donne in viaggio dall’Europa a
Kabul” è il sottotitolo. Nel giugno del 1939, preistoria. Tra rumori di guerra:
il mondo era più aperto quando era chiuso.
Il viaggio è “crudele” non per se stesso,
per i rischi che a occhio e croce comporta, ma per le due donne. Elsa Maillart,
è lei stessa che viaggia, con una Ford, e ne riferisce, e Christina. È la
storia di un viaggio alla scoperta di “come si possa vivere in accordo col
proprio cuore”. Ma il relativo isolamento acuisce i contrasti, anche minimi, e
le debolezze di ognuno.
Christina è Annemarie Schwarzenbach, già
indebolita dalle droghe e dalla mancata riconciliazione con se stessa - ne
morirà un paio d’anni dopo. Nel colloquio centrale del libro l’amica la sprona
ad affrontarsi: “Un giorno fronteggerete la vostra paura. E con essa,
attraverso di essa, approderete alla vostra vera natura”.
Ma è soprattutto un diario di viaggio,
anche se è stato scritto “dopo”, tra il 1943 e il 1945, e altrove, in India, e
pubblicato - originariamente in inglese – nel 1947. Infiorettato dalla diversità
dei luoghi e delle persone, un paese tutto al maschile, ma in forma di charme e non di differenza, non
repulsiva. Si viaggiava meglio quando era difficile viaggiare – se ne capiva il
senso.
Si sapeva già molto. Per esempio della
repulsione islamica per i Buddha di Bamiyan, che sessant’anni dopo i talebani
vorranno demolire. I due Buddha, il grande e il piccolo, sono non poco “rovinati
dai fanatici mussulmani”, e qualche anno prima, “quando il governo afghano
aveva emesso un francobollo che rappresentava il Buddha monumentale, aveva
dovuto ritirarlo dalla circolazione, troppi mussulmani erano scioccati da questa
rappresentazione di una forma umana”.
Elsa Maillart, La via crudele
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