La Repubblica è quella di Scalfari, il
giornale. “Il racconto di uno dei fondatori”, recita il sottotitolo. Furono
numerosi, ma Giovanni non lo era. Scritto per l’editrice de “Il Fatto”, il giornale
concorrente. Una resa dei conti personale, contro De Benedetti che sostituì
Valentini all’“Espresso” con Rinaldi. Ma a volte si presume troppo di sé.
Si legge facile, non resta nulla - a volte si presume troppo di sé. C’è
Monica Mondardini “Crudelia Demona”. C’è Mario Calabresi “l’orfano d’Italia”. Della
fusione con “La Stampa” non c’è nulla. Di Omnitel c’è il pettegolezzo:
Valentini che fa avere a De Benedetti dal missino ma compaesano Tatarella,
vice-presidente del consiglio dell’odiatissimo Berlusconi e ministro delle
Poste e Telecomunicazioni, la concessione delle frequenze Omnitel Pronto
Italia, oggi Wind Infostrada.
Questa storia è lunga: c’è Scalfari che
ogni giorno sollecita Valentini su sollecitazione di De Benedetti, e c’è
l’invito risolutivo a casa Valentini di Tatarella e De Benedetti, con l’invio
risarcitivo di un semplice mazzo di fiori dell’ingegnere alla signora
anfitriona. Ma l’essenziale manca, la “creazione del denaro”, grazie al
monopolio delle frequenze: una licenza costata niente e rivenduta dopo pochi
mesi in Germania per 7,5 miliardi. Il miracolo della banda del buco, di cui in
Solov’ev: c’era una volta una setta di dyromoliai,
adoratori del buco, la cui religione consisteva nel praticare un buco
nell’isba, poggiarvi le labbra, e ripetere: “Isba mia, buco mio, salvatemi!”.
Non mentivano, dice il primo e unico filosofo russo: l’isba chiamavano isba, e
il buco nel muro buco. Almeno finché del buco non fecero il regno di Dio in
terra.
Giovanni Valentini, La Repubblica tradita, Paper First, pp. 142 € 112
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