Jünger ebbe la prima esperienza al
fronte a diciannove anni, nel dicembre
1914. Da volontario subito promosso tenente di fanteria, quindi buon allievo. Un
anno prima era fuggito di casa per arruolarsi nella Legione Straniera. Ma lo
spirito d’avventura non estese alla trincea. O, se lo fece, subito si
ricredette. Anche in questi scritti, per lo più militareschi, di quando ancora
vaga nella smobilitazione, e malgrado il risentimento della sconfitta e della
pace iugulatoria, l’atmosfera è quella sottilmente critica delle “Tempeste d’acciaio”.
Della prima riga, della prefazione: “Su noi continua a imperversare l’ombra
dello spaventoso”. Nel ricordo misurato: “L’immagine della guerra era sobria,
grigio e rosso i suoi colori; il campo di battaglia un deserto di follia, in
cui la vita penosamente proseguiva in sotterraneo”.
Il giovane avventuroso non aveva gli
occhi chiusi, e sa anche il perché della sua delusione, la guerra “di materiali”:
“La guerra è culminata nella battaglia di materiali: macchine, ferro e sostanze
esplosive costituivano i suoi fattori; l’uomo stesso era considerato un
materiale”. Che non è una excusatio, come sarà dopo la seconda
guerra, della Germania che soccombe all’industria bellica americana. Ma è il primo passo verso quella summa
della contemporaneità che sarà – ed è tuttora per molti aspetti – “Der Arbeiter”,
il lavoratore, la sua riflessione sul mondo a venire.
Questo volume raccoglie brevi scritti di
tattica militare, che però culminano in due saggi su “La battaglia di materiale”:
non propriamente bellicisti. Con le prefazioni a “Nelle tempeste d’acciaio”, e
i testi che saranno ampliati a seguire il successo editoriale delle “Tempeste”:
“Boschetto 125”, “Fuoco e sangue”, “La battaglia come esperienza interore”. Ma
soprattutto la raccolta si segnala per una serie di scritti, sulla rivoluzione,
la reazione, la tradizione, il pacifismo, l’internazionalismo, che ribaltano l’immagine dello scrittore,
relegato per i suoi legami intellettuali, e per la mobilitazione nelle due
guerre, nella Germania nazionalista e paranazista.
Lo spazio interiore di Jünger è ben
articolato già ai suoi venti e trenta anni, in senso liberale. Non corrivo alle
idee dominanti, ma saldo in uno sguardo pacifico sul mondo. I suoi appunti di
guerra sono ricordi, postbellici cioè, e dopo una sconfitta rovinosa. Ma non si
possono non confrontare con quelli irosamente bellicisti di Thomas Mann, che
invece è reputato un praeceptor Germaniae.
Delle “Considerazioni di un impolitico” e dei saggi che non si traducono, le “Gedanken
im Kriege” nel 1914, o contro le “Weltfrieden”, il pacifismo, nel 1917 (o
contro il socialismo nel 1928) – Mann del resto scriveva velenoso durante la guerra, ma lontano dal
fronte.
La rivoluzione ha in guerra, al fronte,
nelle trincee, un richiamo di umanità che non si può e non conviene isolare. Diverso
il caso del pacifismo, che si agita per dividere i soldati al fronte dalla
massa: il soldato è un uomo pacifico che combatte per la massa. L’internazionalismo
sfonda una porta aperta, per esempio nella circolazione delle idee della poesia:
non ci sono paratie stagne e non ci devono essere. Ma è concetto politico vago.
Cioè definito, ma “solo nelle gigantesche metropoli del nostro tempo ermeticamente
cinte da muri”, quelli dei buoni propositi, mentre fuori “alcun suolo” è “saldo”.
Il rivoluzionario in sé, nelle retrovie,
“è un uomo non storico”, s’immagina che la storia cominci con lui. In realtà, dipendente “da ciò che combatte”, è pur sempre
uno che viene dall’ancien régime. E
ha tutto da fare: “Una rivoluzione riuscita, che spezza le antiche formule, si
è certamente liberata dei suoi vincoli, ma ancora non ha compiuto alcuna azione
produttiva”. Il reazionario, d’altra parte, neppure lui “è un uomo della storia”.
Per contrare il rivoluzionario si attacca a un mondo che più non esiste. La
tradizione è altra cosa, che non nega il precedente, e nemmeno il futuro, ma
continuamente si rinnova: “L’uomo non può esistere senza una tradizione, e
nemmeno senza un futuro: egli è un recipiente vivente che continua a
raccogliere quel che di nuovo sopraggiunge”.
Ernst Jünger, Scritti politici e di guerra, vol. I, 1919-1925, Libreria Editrice
Goriziana, pp. Pp. 189 € 16
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