venerdì 11 novembre 2016

Il mondo com'è (282)

astolfo

Femminicidio – Viene da lontano, i classici ne sono pieni – come di virago castratrici. Ma non sempre è stato sgradevole. Il più famoso, Otello, è affezionato alla moglie che assassina. Shakespeare ha più di un assassino simpatico.

Islam – È femminile oltre che maschile, come si è sempre saputo. Molto,.Soprattutto ora, in Europa, dove si tenta di contrastare l’offensiva della “legge islamica”, più o meno basata sulla sharia. In Francia sono le donne islamiche ad aver avviato, cavalcato, e in qualche modo vinto, la “battaglia per il burkini”. A Londra è l’Associazione delle donne islamiche, con alla testa la deputata laburista islamica Naz Shah, a chiedere la perpetuazione dei tribunali islamici. Che si erano diffusi molto, con decisioni senza vigore di legge, ma delibate con effetti di legge in quanto arbitrati, che il nuovo governo conservatore vorrebbe limitare e forse abolire – non ci possono essere due leggi in uno Stato.
Entrambe le prese di posizione sono in chiave progressista: si argomenta che, senza, le donne islamiche sarebbero meno protette o libere, senza il burkini e senza i tribunali islamici. In realtà non è così: le donne, di qualsiasi religione, se residenti, ma anche non residenti, così come gli uomini, sono comunque protette dalla legge dello Stato.  Quella delle donne islamiche è una difesa arroccata, culturale, anche se di retroguardia, di una pretesa differenza. Di una differenza anche protettiva, a fronte di una legge “occidentale” che si presenta, o si recepisce, come affermazione di una superiorità. Ma il fatto c’è.

Populismo - È sinonimo di demagogia. Dario Fo e il papa Bergoglio, populisti accreditati, avrebbero da eccepire. Il papa non fa ammenda, e anzi ribatte imperterrito sugli stessi chiodi sugli stessi toni: povertà, degrado, avarizia, egoismo. Dario Fo, che di tutte le cause perse è stato araldo e leader, indistintamente, contro l’alta velocità, contro l’autostrada, contro l’aeroporto, contro la globalizzazione, contro la legge finanziaria, se ne faceva scudo e vanto in una delle ultime uscite, sull’“Espresso”, contro la critica riduttiva di Belpoliti.
Si può obiettare? La chiesa è populista. Lo è sempre stata, lo è per natura: del popolo, per il popolo. È in questo populismo che la chiesa ha peraltro maturato le istituzioni che governano le democrazie: la comunità, il voto, il comando temporaneo, la parità o uguaglianza di condizioni all’entrata, il rispetto delle minoranze, la difesa dagli estremismi. Al sociologo della letteratura Belpoliti Fo opponeva: “Il letterato impiega il termine «populista » nell’accezione in voga da qualche anno in Italia, cioè quella di considerare il populismo una sorta di pretestuoso espediente per imbonire furbescamente una comunità di semplici creduloni facili ad essere gestiti con qualsiasi argomento”. Bene, il populismo lo rivendica: è la democrazia, dice Fo, è la rivoluzione francese – “un’ideologia caratteristica di movimento politico o artistico che vede nel popolo un modello etico e sociale e il rispetto di ogni individuo che faccia parte di una comunità civile”. 
Civile in realtà non è la spia del populismo, semmai del benpensantismo. Ma Fo teneva duro.

La demagogia è episodica, mentre il populismo è duraturo, coriaceo, come qualsiasi altra opzione o ideologia politica: è ben un fenomeno politico. Dopo la vittoria di Trump, vasta e articolata, è da rivedere. Se non altro perché un fenomeno europeo è diventato di colpo americano, e quindi, è facile previsione, sarà presto mondiale.
È la politica del rifiuto della politica. Ma non della politica in sé, alla maniera di Mussolini, “qui non si fa politica”, bensì di una certa politica. Quella ripetitiva e scontata, conformista, vacua. Soprattutto inefficace. E non trasparente.
Nessuna politica può essere trasparente, ma c’è modo e modo, grado e grado. Di Hillary Clinton, per esempio, si sapeva che era la candidata presidenziale della sinistra ma non era di sinistra, e non si candidava per la sinistra. Se non trasparente, il linguaggio può essere netto, preciso nelle scelte che propone e si propone.
Questo “populismo” di ritorno negli Usa è peraltro espressione del voto popolare, delle masse dimenticate. Non l’esito di una demagogia di piazza, fisica o virtuale, di slogan, di scorciatoie e facili promesse. Si direbbe ed è – in molte circoscrizioni il conteggio è facile – una rivalsa del popolo della sinistra in qualche modo tradito. Nei fatti o nella percezione, non cambia: comunque deluso, irritato. Obama vanta la creazione di quindici milioni di posti d lavoro, e un tasso di disoccupazione più che dimezzato, a livelli fisiologici, da piena occupazione. Ma non è percepito come il risolutore, né come l’uomo degli esclusi – il voto massiccio per Trump, alla presidenza e al Congresso, è anche la sconfessione di Obama. Anche perché la verità è un’altra: l’economia americana è in forte ripresa, ma senza occupazione: il tasso di disoccupazione è sceso perché molti sono gli “scoraggiati”, usciti dal mercato del lavoro – più probabile che siano molte, si spiega così il voto delle donne per Trump, che c’è stato evidentemente.
L’uomo comune - i common people - è nella scienza politica americana entità rispettabile. Al contrario del democraticismo europeo, e italiano in specie, da destra a sinistra, da Guglielmo Giannini a Berlinguer - ossessionato dalla “maggioranza silenziosa” che non sapeva come squalificare. Il New Deal ne ha creato la figura, Frank Capra l’ha celebrato nei film, il filosofo John Dewey gli dà dignità. Mentre lo sdegno contro l’uomo comune, è, quando è sincero, il residuo del notabilato politico più che degli ex partiti di massa, lo stesso che si proclama società civile, una cosa quindi poco onorevole. E d’altra parte il metodo delle primarie per la scelta dei candidati, e poi la stessa competizione elettorale per la presidenza privilegiano di fatto il “partito del Capo”, cortocircuitando i partiti e la macchina politica.  

Anche l’elettorato inglese, prima di quello americano, avrebbe da obiettare. È difficile gabellare di populista l’elettorato inglese, compresi Farage e la sua Ukip, o il bizzarro ministro degli Esteri Johnson. Di euroscettico sì, ma pieno di argomenti. Che nessuno si preoccupa di disinnescare. Anche il Front National non si può mettere da parte in Francia come un fatto di stizza: è su piazza da oltre trent’anni.
Non si può liquidare il populismo dopo la crisi economica, e la recessione che ancora imperversa, su indirizzo peraltro e anzi volontà della Ue, in Italia, in Grecia, in Spagna, in Francia, nella stessa Germania. Sono movimenti incerti, non sanno cosa vogliono? Me nessuno ha “la” soluzione, Mentre questi movimenti sanno che cosa non vogliono, e vogliono: novità – discontinuità. Sanno che i problemi sono, come sempre, gravi, ma sanno pure non si risolvono con le vecchie ricette, specie se attendiste o formalistiche. Che bisogna provare qualcos’altro.
È un fatto peraltro che in Italia c’è un ondeggiamento pauroso, come un vagare incerto, da gregge impaurito o impazzito, tra i partiti e di partiti caleidoscopici, che mutano, trasmutano, muoiono, si moltiplicano.

È anche l’unica categoria residua sulla scena politica del Millennio: niente più liberalismo, socialismo, nazionalismo. Si spiega che tutto sia “populista”, da Salvini, o Le Pen, a papa Bergoglio. Visto da sinistra e visto da destra analogamente. Ma più corretto sarebbe dire: visto dai vecchi partiti, di sinistra o destra è indifferente.

Il populismo è semmai del giornalismo. Dei mezzi d’informazione, dell’opinione pubblica. Per l’approssimazione, il pregiudizio, il servilismo, a interessi costituiti o poteri politici.

Trump – L’uomo venuto dal nulla ha illustri precedenti negli Stati Uniti. Anche luomo dagli affari non trasparenti. In anni recenti Truman, quello di Hiroshima, del maccarthysmo, e di Edgar Hoover. O Nixon, che pure poteva contare su un Kisssinger. E Kennedy: padre, Joseph (che c’entra? c’entra - l’ambasciatire più importante di F.D. Roosevelt). Il più eversivo, peraltro amato e celebrato, è stato Reagan. Nel cui stato, la California, sotto il suo governatorato, si uccidevano i detenuti scomodi per motivi politici. Uno che allontanava gli insegnanti neri dall’Università della California - eccetto che nelle sedi di Oakland e San José. Che “spezzò la schiena” ai sindacati. Che fece la guerra a Grenada. 
I precedenti sono anche di celebrazione costante di anticonformisti, Elvis Presley come Cassius Clay o “Il padrino, fuori dalle ideologie o sistemi conchiusi, lenergia individuale. Si è arrivati a Trump per motivi che ancora non sappiamo – non si fa l’analisi del voto – ma anche perché nessuno dei precedenti ha messo a repentaglio, nemmeno scalfito, la democrazia americana. Che è solida, la più solida che esista e sia mai esistita.
Gli Usa non sono una repubblica delle banane. Hanno istituzioni collaudate e saldissime, così come l’impianto costituzionale. Una suddivisione (bilanciamento) reale dei poteri, caso unico fra le democrazie.  Un sistema repressivo e giudiziario non oppressivo e anzi protettivo, delle parti offese, e anche degli imputati fino alla condanna.  Una articolazione sociale minuta, per comunità d’interessi di ogni tipo, o dei cosiddetti corpi internedi, che da Tocqueville a Guglielmo Negri,  il fondatore del Centro studi americani, “Il sistema politico degli Stati Uniti d’America”, è il fondamento di ogni democrazia, ma è più viva negli Usa.

astolfo@antiit.eu 

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