Comunismo -Si vuole agli atti come un disegno
di palingenesi, morale e sociale, ma è stato, è tuttora in Cina, il regno del
formalismo, sterile – nonché della,repressione: dell’esclusione e non dell’inclusione.
Un formalismo necessario per addomesticare le ambizioni personali, i
carrierismi, la corruzione, lo strapotere, che però la funzione politica riduce
a burocrazia. Non ha risolto il problema istituzionale, della rappresentanza e
del voto di base, e per questo è
sterile.
È la formalizzazione del
potere, in realtà. Un disegno di potere ma poco rigenerante. E limitato: solo
per la parte ascesa sociale e politica di alcuni invece che di altri, senza
criterio di giustizia o di uguaglianza. Angela Davis, comunista di partito pura
e dura, ha nella sua “Autobiografia”, senza umorismo, l’aneddoto di Gus Hall, il
presidente del Partito Comunista Usa, che quando lei fu rimessa in libertà, al
termine della campagna che aveva impegnato per molti mesi prioritariamente il
partito, non seppe se festeggiare: “La notizia era arrivata nel bel mezzo di
una seduta del congresso del partito. I compagni furono combattuti tra il
desiderio di dare subito l’annuncio e la certezza che la notizia avrebbe
mandato all’aria la riunione”.
È – è stato – anche palestra
di depoliticizzazione. All’insegna del tutto è politica, e anzi della scuola di
politica. Ma secondo un canone e un format “marxista-leninista” che non era
nient’altro oltre la formula “obbedire alle parole d’ordine”.
Conquista – L’avventura forse più celebrata e europea dell’Europa – della “madre
della civiltà” – l’“americanista” Lévi-Strauss poteva tranquillamente definire,
per esempio nell’intervista con Marcello Massenzio, ora in “Razza e storia.
Razza e cultura”, “la colpa più grande commessa nella storia del’umanità: l’avere
distrutto, o cercato di distruggere, ciò che rappresentava la metà della
ricchezza umana”, la metà del futuro Occidente – e lo poteva dire da ebreo,
tenendo dunque conto dell’Olocausto. Un “peccato inespiabile”, di cui fu
colpevole tutta l’Europa già costituita in Stati, Spagna, Portogallo, Francia,
Inghilterra, e il papato.
Destra-sinistra – Concetti apparentemente semplici, nella storia e nella
politica, un po’ meno a fine Novecento, malgrado gli sforzi di semplificazione
di Bobbio, sembrano del tutto irrelati nel millennio, già da prima della crisi.
(Non tanto tra di loro quanto )in eraltà difficilmente def inibili, ) Irrelati
non tanto tra di loro, anzi semmai al contrario, mescolati, ma sì con la realtà.
Per questo anche di difficile ora definizione. Nella confusione che si labella
populismo, a sua volta di destra e di sinistra, ma giusto perché la crisi dei due
concetti coincide con la crisi dei partiti politici di tipo tardo
Ottocento-Novecento: organizzati e istituzionalizzati, nella geografia
elettorale e in quella parlamentare e di sottogoverno.
I due concetti non sanno
definirsi in rapporto alla giustizia. In tutte le sue forme, penale, sociale, e
perfino civile – è più forte il creditore e, il debitore, il contratto, la
fededegna? In rapporto al “mercato”. In rapporto alla povertà, al lavoro, alla
retribuzione giusta – che senso hanno i minijob americani e tedeschi, senza
prospettiva? Alla produzione e al tempo libero. In rapporto alla guerra, alla
pace, all’ambiente – il radicalismo ecologico è stato di destra, anche estrema.
Ai diritti civili, sociali, di genere – quanto confuso conformismo.
Lo scadimento di destra
e sinistra va in uno con lo scadimento dei concetti politici, e della politica tout court. Dell’opinione pubblica: la
comunicazione, la rappresentazione o narrazione. Ridotta a manifestazione epidermica,
al piccolo magnetismo tv, ai linguaggi cifrati e scontati, parole d’ordine
rimasticate.
Masterchef – Il cibo diventa un culto perché diventa raro, e quasi esoterico: non
si mai parlato tanto di cucina ora che non si pratica più. E l’alimentazione si
vuole una scienza, con abuso di dietologi, gastroenterologi, gastronomi,
enologi, biologi. Le rubriche di gastronomia, enologia, dietologia, di semplice
colore sui cibi, grezzi e cucinati, si moltiplicano, è il settore del
giornalismo in espansione, l’unico, degli esperti di alimentazione per qualche
verso, anche non ecologica. .
In una giornata qualsiasi
sono una dozzina i programmi tv nella prime dieci reti in chiaro dedicati ai
cuochi e alla cucina, più un’altra dozzina sul satellite. Si fanno grandi personaggi
del Masterchef e dei cuochi “stellati”. E anche dei non stellati purché in tv
buchino lo schermo – anche per insipienza. Cuochi e cucine prendono un paio di
pagine ogni giorno sui quotidiani, si fanno supplementi interamente dedicati
alle ricette, agli ingredienti, al “km. 0”, o viceversa al mercato elastico.
Non da ora, da alcuni anni. In parallelo con l’abitudine ormai diffusa di non
cucinare: nessuno cucina più o quasi, se non gli spaghetti. Si mangiano come
fossero capolavori culinari i panini che un tempo si rifiutavano, se non per
forza maggiore, e per risparmiare, mentre si è praticamente sostituita la
trattoria, anche in paese, con la pizzeria e l’apericena alla caffetteria,
tutto rigorosamente surgelato, anche le polpettine fritte. Surgelata la pizza,
chi l’avrebbe detto: eppure.
Fatta la tara della pubblicità
alimentare moltiplicata col moltiplicarsi della non cucina, e quindi dell’offerta
in scatola o surgelata, una pubblicità da catturare con le tv che non costano o
con i supplementi a stampa, il fenomeno resta curioso: si apprezza il bene per
la curiosità, per la scarsità. Fino al fanatismo.
Non si mangia del resto
nemmeno professionalmente, se non, qualche volta, nei ristoranti stellati – ma con
l’amaro in bocca: la fama è sempre superiore
alla realtà. Alle trattorie e ai tavoli comuni per i più si sostituiscono
peraltro sgabelli alti da tortura, scomodi per scoraggiare la lunga permanenza,
e un cibo che in rarissimi casi è cucinato. Per mangiare solitamente sfizi,
l’alimentazione si riduce a poco: pizze al taglio riscaldate, e fritti
rifritti, ribattezzati gourmet e streetfood.
Lo scadimento è del
gusto. Con ricorso ormai generalizzato all’offerta pubblica, di salsamenterie,
rosticcerie, caffetterie. Per una nutrizione veloce, riscaldata invece che
cucinata. La stessa peraltro che si pratica, riscaldando invece che cucinando,
oppure ordinando, alla produzione di cibi precotti.
La novità – la
pubblicità - fa aggio sulla qualità del cibo in offerta pubblica.
Terrore
– Si associa alle condanne a morte e alle esecuzioni a vista. È il Terrore della
Rivoluzione francese. Quello Rosso dopo l’attentato a Lenin nel 1926. Metodi
grossolani. Costosi e inutili, anche al fine di diffondere la paura. La Turchia,
che un secolo fa aveva sperimentato lo sterminio genetico, contro gli Armeni,
ora fa le prove del terrore bianco: Non meno effettivo, tutto lascia presumere,
del terrore rosso ai fini del controllo della popolazione, ma senza l’onere degli
esami critici internazionali. La Turchia è peraltro paese Nato, e quindi a
tutti gli effetti del blocco liberale o occidentale,
Dopo il golpe fallito
del 15 luglio, lo stato di emergenza è stato decretato per novanta giorni, che ha
consentito arresti e destituzioni in massa, su decisione del governo, senza
giudizio né contraddittorio. Di golpisti, di “gülenisti”, sostenitori di Gülen,
il leader politico esiliato in America oppositore del presidente Erdogan, di esponenti
liberali, di esponenti della minoranza curda.
Circa 160 giornali o
siti d’informazione sono stati chiusi – tra essi il “Corriere della sera”
turco, “Cumhuriyet”. Almeno 130 giornalisti sono stati carcerati in attesa di
un’incolpazione specifica. Due e tre volte questo numero si sono esiliati o hanno
smesso l’attività. Gli arresti sono in totale circa 37 mila – novantamila detenuti
per reati comuni sono in dismissione, verso la libertà provvisoria ai domiciliari,
per fare posto ai carcerati politici. Le sospensioni dall’impiego pubblico, di giudici,
insegnanti, le due categorie più colpite, militari e poliziotti, sono state 110
mila. Più 11 mila insegnanti curdi, e trenta sindaci di cittadine curde. Il 4 novembre sono stati carcerati anche
dodici deputati curdi, senza reati specifici.
Nel Kurdistan turco
almeno 1.700 persone sono state uccise dai raid aerei e dall’artiglieria turca
malgrado un armistizio concluso a suo tempo tra il governo centrale e il partito
indipendentista curdo, o dei Lavoratori
Curdi (Pkk).
La repressione è stata
accompagnata dalla confisca di case e beni dei carcerati e dei perseguiti.
Secondo un dato ufficiale, sono stati confiscati beni per 5 miliardi di
dollari. Ma la cifra reale si attesterebbe sui 13 miliardi, secondo calcoli più
attendibili.
Nel golpe sono morte 241
persone.
Lo stato d’emergenza è
stato prolungato il 3 ottobre per altri novanta giorni.
astolfo@antiit.eu
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