Esattamente
non si sa, potrebbe anche essere sopravvissuto – questo dipenderà dalla
ricezione del serial. Ma il colpo che il papa ha avuto alla sua prima
apparizione in pubblico, così scenografica, dal frontone della basilica sulla
piazza San Marco, apoplessia, infarto, dissezione dell’aorta, potrebbe essere
stato fatale. Intervenuto dopo l’aura fortissima dei genitori che scompaiono -
morti, chissà, vagabondi. Una fine simbolica, anche la morte dei genitori un
bambino soffre come un abbandono, che lascia il papa solo, come deve essere per
ogni indignado.
È
su due figure del tempo, il giovane indignado e il papa venuto
dalla fine del mondo, che Sorrentino ha costruito il serial. Verboso, per dire
che è serio - oppure no, di una oratoria solida, nelle allocuzioni e nei repartee, affascinanti, tutto il contrario dei serial di frasi smozzicate. Entrambe figure modello.
Entrambe isolate, l’indignado in piazza, il papa nei palazzi. Veritiero: i sacerdoti che si vedono in Vaticano e a Roma, in prevalenza
ora non mediterranei, bianchi e neri, sono aitanti, sportivi, fumatori, e
parlano liberamente, niente di pretesco. E naturalmente straordinario:
immaginifico, lussurioso, come solo può oggi distinguersi il cinema da youtube,
dal video virale, dalla scenetta, nonché per i dialoghi, e i grandi discorsi.
O
forse anche – così è nell’esito – su una terza figura del tempo, rovesciata: il
rifiuto della folla indistinta della contemporaneità, dei social, anonimo,
incolore. Cui il giovane papa si rifiuta dal balcone, finendo per incontrarla
in “non luoghi”, la stazione di servizio, l’autogrill. Il film laico di
Sorrentino sarebbe così un luogo di spiritualità, per gli spettatori sperduti
in questa contemporaneità chiacchierona e vacua, unidimensionale e spenta. Un
deserto sottolineato dall’amore del papa per la giovane coppia che vuole un
figlio. E dalla scenografia che sempre lo rappresenta in luoghi chiusi, anche
intimi, pieni di vita: un soffitta, uno studiolo, il bagno, giardini vissuti,
animando gli stessi solenni appartamenti papali.
Piace
legarne anche l’idea a Eco, alla sua delusione da ultimo per la mediocrità del
contemporaneo, della visibilità o esibizionismo, e dello tsunami social. Non un
legame specifico, la delusione è ampia, e forse generale, ma sì per il fatto
visivamente dominante del giovane papa che fuma, in ogni circostanza. Di cui
alla barzelletta del domenicano e del gesuita nell’apologo “My heart belongs to
daddy” di Umberto Eco sull’“Espresso” qualche anno fa. Il gesuita fuma. Il
domenicano chiede: come puoi? Ho chiesto il permesso, dice il gesuita. L’ho
chiesto anch’io ma me lo hanno negato, dice il domenicano. E come l’hai
chiesto? Ho chiesto: posso fumare mentre prego? E ti hanno risposto no, certo,
dovevi chiedere: posso pregare mentre fumo? Il fumo come preghiera, dunque. Che
non è solo una barzelletta, è filosofia al quadrato, logica e mistica.
È una spiritualità fatta di fisicità – al confronto appunto con la sterilizzazione della rete: fumo, sport, amicizie, affetti. Col supporto di un linguaggio semplice, quello di tutti. Del papa, dei suoi amici e anche del suo segretario di Stato. Finalmente ripulito dal pretesco - il modo di porgere dei sacerdoti è rimasto quello che Molière prendeva in giro, dei tartufi, già dunque alcuni secoli fa.
È una spiritualità fatta di fisicità – al confronto appunto con la sterilizzazione della rete: fumo, sport, amicizie, affetti. Col supporto di un linguaggio semplice, quello di tutti. Del papa, dei suoi amici e anche del suo segretario di Stato. Finalmente ripulito dal pretesco - il modo di porgere dei sacerdoti è rimasto quello che Molière prendeva in giro, dei tartufi, già dunque alcuni secoli fa.
Una
rappresentazione del potere, che si vuole solitario, ma più veritiera: senza
compiacimento - non c’è gioia nel potere, se non si diletta della crudeltà. Un
papa che si rifiuta di “fare il papa”: dare carezze e benedizioni – sono
“esibizionismo”. E ha un Dio, quello che sorride: dai fedeli vuole che
sorridano, e ne è felice, certo che un giorno sarà in grado di abbracciarli “a
uno a uno”.
Un’idea
geniale, cioè semplice. E opera d’autore che farà epoca, di forza evocativa
e suggestione impressionanti. Tanto più nel silenzio che lo accoglie, fragoroso
– non di sbadataggine. Con molto Fellini, la visionarietà, quale Sorrentino usa. E al fondo, innominato, Nanni
Moretti, “Habemus Papam”, soggetto e sceneggiatura (temi e stacchi), e qualche immagine - nonché, chissà, la stessa idea della inadeguatezza, che insidia Moretti ma non solo, è patologia-terapia ora privilegiata nel business strizzacervelli. Sostenuto - soprattutto? - dalla qualità oratoria: grande teatro, sembra Shakespeare.
Paolo
Sorrentino, The young pope
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