Un titolo infelice, di uno studioso
atipico, per di più rimosso per motivi politici. E un capolavoro nel suo
genere, di acume e piglio. I migliori scrittori russi rivisti nella loro
“ortodossia”, di figli di Bisanzio più che delle steppe, Puškin, Dostoevskij,
Gogol, Čechov, e incluso Trockij. Figli anche dell’Ottocento.
Con molti tagli a sorpresa. Con “Le
anime morte” Gogol tratteggia un affresco dantesco, tema l’orgoglio del popolo
russo, con tratti manzoniani: “Il poema” – “Le anime morte” sono un poema – ha
schietti toni manzoniani”. Non senza
ragione: “Manzoniano è l’esempio di un’arte riflessa, manzoniana, cauta,
sostenuta da una inestinguibile luce poetica”. Dostoevskij naturalmente non è
psicoanalizzato, come usa da un secolo in qua: il suo è un antintellettualismo
quasi obbligato, ma sconcertato dal volontarismo, malgrado tutto, della vita, i
caratteri nazionali compresi.
Uno studio vittima anche di una lettura liberale,
nel 1925, di Lenin e Trockij. Le forze che la rivoluzione bolscevica ha
suscitato sono di un “liberalismo sostanziale”: “Trockij afferma, per primo,
una visione liberale della storia”. Un’altra statura morale, oltre che una
grande intelligenza.
Mussolini disprezzava Gobetti, “insulso
oppositore”, ma chiedeva ai suoi prefetti di rendergli “la vita difficile”. Cioè
di bastonarlo, più volte, perquisirgli la casa, sequestrargli le carte – e questa
è la “rivoluzione fascista” che invece si è rivalutata.
Piero Gobetti, Paradosso dello spirito russo, Edizioni di Storia e Letteratura,
pp. 260 € 18
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