Roma sotto la cupola di Roma Capitale. Ma non di
Carminati e Buzzi, di un processo mostruoso sotto ogni punto di vista, dacché
forzosamente si è voluto accomunarlo a quello che trent’anni fa Giovani Falcone
intentava ala vera mafia, con ben più solidi capi d’accusa – centinaia di
assassinii, interessi miliardari, solide associazioni a delinquere. Quattro
sedute a settimana, sfiancando gli avvocati, che non patrocinano solo gli imputati
di Mafia Capitale, e diluendo per lo stesso motivo gli altri processi, verso un’amnistia di fatto
per prescrizione. Dibattimento a tappe forzate. Un a sentenza già scritta, dal
momento in cui gli imputati sono stati relegati in video, e quindi per
consultarsi con i difensori devono usare il telefono, con scarsa o nulla privacy
e molta confusione. Con un’estensione già in atto, acquisita anche senza la
sentenza, del reato più dubbio nei trent’anni dacché esiste: il concorso in associazione
mafiosa. Mentre i politici con imputazioni più certe e gravi, peculato, concussione,
distrazione, hanno ottenuto al patteggiamento pene irrisorie.
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