C’è da fidarsi dell’Fbi? Angela Davis
era nel 1970 “uno dei dieci criminali più ricercati dell’Fbi”. E ricercata,
diceva l’avviso, “per omicidio, rapimento di persona e cospirazione, molto
probabilmente
è armata” - come dire: “si può ucciderla
a prima vista”. Mentre non era armata, e non aveva fatto nulla – infatti non fu
condannata, benché imprigionata a lungo. Era solo un’assistente universitaria,
licenziata da Reagan, che da governatore
aveva poteri sull’università di California.
Prefazionando l’“Autobiografia” alla
riedizione nel 1998, a 25 anni dalla prima pubblicazione, Angela Davis la
giustifica, ancora vergognosa di averla redatta ad appena 25 anni, come un
quadro degli Stati Uniti negli ultimi anni 1960. E questo è a rileggerla, tanto
più alla vigilia di questa elezione presidenziale: gli Stati Uniti non sono
nuovi alla paranoia del complotto, non è una novità dopo l’11 settembre, o ora
con Trump. Angela Davis fu incriminata e carcerata nella California di Ronald
Reagan, C’è stato un Reagan nella storia degli Stati Uniti - di cui Trump è una
fotocopia, anche stinta: eversore di ogni legge sociale, nemico di ogni
sindacato, amico dei ricchi. Gli Stati Uniti hanno la memoria corta, che ora s’indignano
del candidato repubblicano.
Questa “Autobiografia” è in realtà la
cronistoria della militanza afro e comunista, a partire dal 1967, la latitanza,
la prigione e il processo per terrorismo e strage, l’assoluzione. Una
testimonianza di una certa America, non remota. Con pochi tocchi personali. Di
famiglia nera borghese di Birmingham, in Alabama, era cresciuta nella
segregazione (trasporti pubblici, caffè, cinema, ristoranti, negozi,
biblioteche, scuole), in una scuola per
neri peraltro violenta, con scazzottate e coltellate, anche mortali. Ma con
frequenti vacanze in California e a New York, dove un’altra America era in
gestazione. A quindici anni già a New York, in una scuola integrata al Greenwich
Village.
Sarà rapidamente borsista alla Brandeis
University, desegregazionata, in Massachusetts, iniziata da Marcuse in lezioni
private alla filosofia, laureata in francese alla Sorbona, quindi in filosofia
a Francoforte, dopo aver studiato con Adorno, Horckheimer, Oskar Negt et al.. Con Adorno aveva concordato una
tesi di dottorato, ma poi decise di tornare, anche perché Marcuse, licenziato
dalla Brandeis per motivi politici, l’aspettava come collaboratrice all’Ucla di
San Diego. Sulla via del ritorno, in una sosta a Londra, partecipa al convegno “Dialettica
della liberazione”, una tre giorni che Marcuse e Stokely Carmichael agitano.
Carmichael è il Black Power, Angela Davis ne è subito parte. Sarà una delle più
agguerrite attiviste nere per i diritti civili, anche come membro attivo del
partito Comunista Usa.
In
rapporto affettivo col più giovane dei fratelli Jackson, Jonathan, sarà
incriminata per favoreggiamento e fornitura di armi per l’irruzione che Jonathan fece il 7 agosto 1970 nel tribunale
di San Rafael in California dove si processava il fratello George, capo delle Pantere Nere, con
altri membri del gruppo. Jonathan aveva preso in ostaggio il giudice e alcuni
membri della giuria, e l’attacco si era chiuso nel sangue: morirono Jonathan e
alcuni ostaggi, tra essi il giudice Harold Haley. Una delle armi di Jonathan,
una pistola, risultò intestata a Angela Davis, che fu incriminata con capi
d’accusa che contemplavano la pena di morte.
Il suo caso coinvolse nel 1970-1971 il
mondo intero. Militante comunista dichiarata (almeno fino al 1991: abbandonerà
il partito solo allora, e solo perché il partito si era schierato per il colpo
di Stato contro la perestrojka),
Mosca mobilitò il suo apparato d’informazione per sostenerne il caso. Castro la
ospiterà per alcun mesi a Cuba dopo la liberazione, per consentirle di scrivere
questa memoria in forma di autobiografia. Nel 1978 sarà premio Lenin per la
Pace. Ma il caso di Angela Davis, bella, alta, molto afro e insieme mezza
bianca, alla Obama, fu di risonanza internazionale anche al di fuori della
propaganda. In Italia un componente del Quartetto Cetra, allora agli ultimi
bagliori, Virgilio Savona, fu uno dei suoi più attivi sostenitori. Al Quartetto
Cetra si deve anche una canzone in suo onore, “Angela”, 1971. Altre ne
seguiranno, un’“Angela” di Lennon e Yoko Ono, e “A Sweet Black Angel” dei
Rolling Stones.
Il libro narra questa vicenda. Esemplare
anche del vetero comunismo. Scritto a Cuba, ospite di Castro. Dove era stata in
viaggio di formazione nel 1969, entusiasta – aveva fatto anche la zafra, per un giorno, rischiando il
collasso… Il resto, il più, è burocrazia di partito, di cellula: mozioni,
divisioni, scomuniche, ritrattazioni. Di un’ingenuità sconcertante, per una
filologa, una filosofa, e una donna d’azione – Adorno, è notorio, subiva il
fascino delle belle ragazze, e Marcuse?
Pieno anche di pregiudizi, non
abbandonati nel tempo. Contro l’omosessualità, che le carceri separate
praticamente imponevano ai carcerati. O contro il femminismo: Angela si dice “fermamente
contraria …. allo slogan femminista «il privato è politico»” – trent’anni dopo
più permissiva, scriverà nella prefazione 1988. Un libro d’epoca. Ma si rilegge
con interesse per il clima da caccia alle streghe che il movimento radicale
nero incontrò negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni 1960.
In filigrana, è un libro di
risentimenti. La scia di rivalse che impedisce di normalizzare il rapporto tra
le comunità, di sottilizzare, se non di cancellare, il colore della pelle in
una storia pure comune, e un destino unitario. Come si vede anche in questi
anni, che gli Stati Uniti sono stati governati da un presidente nero, ma le
polizie sparano al nero a vista, alle spalle. I Neri e i Bianchi sono anche per
Angela Davis mondi a parte. E quando qualche Bianco è dalla sua parte, lo
registra come un caso, anche con apprensione.
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