Tre testi di Simone Weil sul tema del potere. Ma
centrati sul terzo, “L’Iliade, il poema della forza”
“Non ricominciamo la guerra di Troia” è
un breve scritto che prende forza dall’uscita, alla vigilia della guerra nel
1939. Verrà l’anno dopo “L’Iliade o il poema della forza”. “L’ispirazione
occitana” richiama il messaggio di Cristo: riconoscere la forza, e rifiutarla:
“Riconoscerla come unica sovrana di questo mondo e rifiutarla con disgusto e
disprezzo”. Simone Weil è qui già alla fase ultima, del mistiscismo disincarnato.
Ne “L’Iliade” argomenta l’inconclusività
della violenza, che pure si impone: “La forza trasforma chiunque da essa venga
toccato”. Non è una soluzione se non distruttiva. Omero vi rappresenta non atti
di eroismo, né l’imperscrutabilità del divino, ma la Forza, che rovina chi ne
usa e annienta chi la subisce. Il poema
è anche l’assenza del perdono. Non c’è magnanimità, e non c’è il perdono – non
c’è nella cultura greca. Ambigua categoria che la cristianità introdurrà.
Omero, come le sue divinità, guardano imparziali e impassibili le sventure, dei
Troiani come degli Achei. Senza perdono, l’uomo è ridotto alla sua finitezza.
Ed è questo il racconto che, in filigrana storica, fonda l’Occidente. Nel mito,
ma anche, nell’attualizzazione del mito, nell’Europa che Simone Weil viveva nel
1940 – nell’Europa tout court?
Un rifiuto combattivo e combattente, che
il suo pacifismo impegnato, nella Resistenza – dopo un momento di “non
belligeranza” nella Francia ad amministrazione italiana - e quindi nella
guerra. Al punto da morirne – senza volerlo ma come di un lasciarsi morire.
Simone Weil, Il libro del potere, Chiarelettere, pp. 93 € 9,50
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