La ripresa, il poco che c’è, è solo nei servizi: i
quattro quinti dell’incremento del pil, e quasi tutti i nuovi posti di lavoro,
sono in quest’area. L’industria, che ha alimentato il restante quinto
d’incremento del pil, uno 0,2, non ha prodotto nuova occupazione, se non in
casi limitati. Con una produttività (l’incremento del prodotto per unità di lavoro:
il motore della ricchezza) stagnante.
I servizi sono è l’area del precariato. Delle
retribuzioni basse e incerte. Del valore aggiunto minimo. Un terzo dei nuovi posti
di lavoro nei servizi è a tempo parziale – un part-time non volontario. Nel
settore classico dei servizi, peraltro, tagli massicci di posti di lavoro sono
stati avviati nel suo comparto più “ricco”, quello bancario.
La stagnazione della produttività è di tutta
l’eurozona. Dove le cifre dell’occupazione, che non ha mai avuto crolli drammatici,
eccetto che in Grecia e in Spagna, sono mascherate dalle politiche della solidarietà:
si mantengono i lavoratori in organico ma a ore e paga ridotte. In Europa come
in Italia, le ore medie lavorate per occupato sono sempre inferiori a quelle
del 2008. Negli otto anni della crisi il monte ore lavorate è diminuito del 6
per cento, più del doppio del calo dell’occupazione.
La ripresa si fa mortificando il reddito: è come se
la produzione di ricchezza si fosse bloccata, e la ripresa fosse solo una
condivisione un po’ più larga di risorse disponibili sempre più limitate. Quasi
una condivisione della povertà, più che della ricchezza – che è ciò che connota
la vera crescita.
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