È una ricerca di dottorato su Pavese
“tedesco”. Esattamente, sull’influenza di Nietzsche nella poetica di Pavese e le sue scelte
pratiche di vita negli anni della guerra – con introduzione di Angelo
d’Orsi. Il Pavese che mancava, benché fosse bene in vista. Trascurato per un residuo
di benpensantismo Pci.
Belviso ha lavorato sull’infatuazione
tedesca di Pavese negli anni della guerra. Fino a imparare affrettatamente il
tedesco, e avventurarsi nella traduzione della “Volontà di potenza” di
Nietzsche, negli anni 1944-45, dell’occupazione e della liberazione. Una
scoperta effetto del sodalizio con Giaime Pintor, germanofilo acritico, a suo
agio con i “Proscritti” di von Salomon, l’epopea della guerriglia tedesca degli
anni 1920, antifrancese e antipolacca, e anche col nazismo. Che la
pubblicazione di questo Nietzsche, quello allora conosciuto, aveva caldeggiato
cinque anni prima, e Einaudi per un motivo o per l’altro aveva rinviato.
Una passione repentina che Belviso
inquadra anche alla luce del cosiddetto “Taccuino segreto”, le annotazioni che Pavese
espurgò preparando i diari per la pubblicazione nel 1952, “Il mestiere di vivere”.
Pavese, a disagio nel Novecento bellicoso
e rivoltoso (la sua militanza comunista Belviso dice espediente), malgrado il
confino cui lo sottopose Mussolini, approdò nell’ultimo decennio di vita a un
suo Novecento dionisiaco e mitico, sulle orme di Nietzsche. Il Nietzsche che si
conosceva allora, della “Volontà di potenza”, la compilazione spuria frutto soprattutto
della temibile sorella Elisabeth. Ma corroborato da altre letture, o riletture,
in chiave irrazionalistica, di Thomas
Mann, Kerényi, e dei tedeschi della “rivoluzione conservatrice”, Jünger,
Schmitt.
Francesca Belviso, Amor fati. Pavese all’ombra di Nietzsche, Aragno, pp. XXI-183 € 25
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