Io a palazzo Chigi? Sto bene dove sto. Io presidente
del consiglio? Basta tecnici. Io premier? Decide Mattarella. Non si sa cosa
inventare per riempire le quattro, sei, otto pagine ogni giorno di politica che
nessuno legge, e si inventano i nuovi
capi del governo: Padoan, Calenda, Alfano – Padoan? Calenda? Alfano?
Quello del nuovo presidente del consiglio è un
gioco facile, ogni cronista parlamentare se ne serve ogni pochi mesi per un
paio di giorni di vita comoda. Ma gli interpellati?
L’“Economist” boccia il referendum e anche
Renzi, lo vuole subito a casa, a favore di un governo tecnico. Monti invece, il
tecnico per eccellenza, vuole Renzi sconfitto al referendum ma al governo. “The
Economist” vs. Monti? No, erano e
sono la stessa cosa. Il settimanale non aveva ben capito, e infatti si è
scusato.
La Corte Costituzionale boccia la riforma della
Pubblica Amministrazione il giorno dopo che il governo ha varato i relativi
decreti attuativi – tutti meno uno. Non un giorno prima. E a otto o nove dal
referendum sulla riforma della Costituzione.
La Corte Costituzionale, che si penserebbe l’istituzione
più unitaria, comunitaria, è la più divisiva: non un foro di saggezze ma di
carriere. A ogni sentenza.
La Corte Costituzionale boccia, tra le altre,
la riforma contro i dipendenti pubblici assenteisti. Naturalmente non è voluto – i giudici personalmente
sono stakhanovisti, lavorano fino a un giorno a settimana (per questo li
paghiamo più del presidente della Repubblica). Ma si sono distratto o che?
No, dice, è la forma: il governo può decretare
il licenziamento dei furbi del cartellino solo dopo che le Regioni hanno dato il loro
assenso. Tutt’e venti?
Fare i decreti attuativi, della riforma della
Pubblica Amministrazione come di ogni legge, è fatica improba, di mesi e anni. Si
redigono per annullare gli effetti liberatori della legge - la certezza del
diritto. I decreti sono lo strumento della burocrazia per riappropriarsi del
potere di interpretazione, e quindi di decisione. Il polmone della corruzione.
Meno della metà del Parlamento europeo, 304
deputati contro 387, ha votato una mozione contro la Russia. Le guerre le fanno
sempre le minoranze.
La mozione antirussa al Parlamento europeo è
passata perché metà dei contrari si sono astenuti, per non mettere in
difficoltà i favorevoli. La democrazia ha molte pieghe.
Tutti i Prodi, fratelli, nipoti, sono per il
No. Romano Prodi esita, che è quello che dovrebbe avere le idee più chiare.
Questo referendum è amletico: un dramma in forma di farsa.
Capalbio fa causa contro l’obbligo di accogliere
immigrati, e naturalmente la vince, il giudice di Orbetello è inflessibile.
Anche la sinistra chic e vip che popola Capalbio è contenta. Assolvendosi col
dire: “Bisogna che gli immigrati abbiano un’accoglienza degna, non si può
mandarli così alla rinfusa in giro per l’Italia”. Degnamente ipocrita. Poi dice
che vince Grillo.
Trump spiazza i media, con la nomine delle donne.
Ma la frase è ricorrente, li “spiazza” sempre, sull’Obamacare, sul Muro del Messico,
sulla Nato, come già sulla sua stessa elezione a presidente presidenziale. Ora,
i media non dovrebbero conoscere i meccanismi dello “spiazzamento”? Non sono
più media, sono tribù.
Hillary Clinton ha avuto due milioni di voti in
più di Trump – e potrebbe averne ancora di più, il conteggio non è finito. Ma
ne ha avuti due in meno nei tredici “swing states”, quelli che decidono. Era
più politicamente preparato – aveva fatto meglio i compiti, cioè i calcoli –
l’impolitico Trump, con una macchina elettorale molto minore, della politica
Clinton, con una macchina miliardaria.
“La Gazzetta dello Sport” allarga i fronti
contro la Juventus: è guerra a tutto campo. Sarà dura per tutta la Rcs, “Corriere
della sera” compreso e i periodici:
tutti torinisti d’ora in pi. Ma si venderà una copia in più o in meno?
È vero che Cairo è
l’unico editore di giornali in attivo, insieme con De Benedetti. Ma l’aria è
brutta: uno studio Mediobanca calcola che nel quinquennio 2011-2015 i nove principali gruppi editoriali hanno perso il 32,6% del fatturato (-1,8
miliardi), cumulando perdite nette per 2 miliardi. E hanno tagliato oltre 4.500
posti di lavoro, scendendo a 13 mila dipendenti totali.
Nel quinquennio le vendite di quotidiani, già dimezzate
rispetto ai sei milioni di copie dieci anni prima, si sono ridotte di un altro terzo,
da 2,8 a 1,8 milioni giornalieri.
Milano sottrae a Torino, dopo le banche, la Fiera
del Libro. Torino si compra il “Corriere della sera”: 1-1? Il “Corriere” val
bene una fiera?
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