sabato 26 novembre 2016

Ombre - 343

Io a palazzo Chigi? Sto bene dove sto. Io presidente del consiglio? Basta tecnici. Io premier? Decide Mattarella. Non si sa cosa inventare per riempire le quattro, sei, otto pagine ogni giorno di politica che nessuno legge, e si inventano i  nuovi capi del governo: Padoan, Calenda, Alfano – Padoan? Calenda? Alfano?

Quello del nuovo presidente del consiglio è un gioco facile, ogni cronista parlamentare se ne serve ogni pochi mesi per un paio di giorni di vita comoda. Ma gli interpellati?

L’“Economist” boccia il referendum e anche Renzi, lo vuole subito a casa, a favore di un governo tecnico. Monti invece, il tecnico per eccellenza, vuole Renzi sconfitto al referendum ma al governo. “The Economist” vs. Monti? No, erano e sono la stessa cosa. Il settimanale non aveva ben capito, e infatti si è scusato.  

La Corte Costituzionale boccia la riforma della Pubblica Amministrazione il giorno dopo che il governo ha varato i relativi decreti attuativi – tutti meno uno. Non un giorno prima. E a otto o nove dal referendum sulla riforma della Costituzione.
La Corte Costituzionale, che si penserebbe l’istituzione più unitaria, comunitaria, è la più divisiva: non un foro di saggezze ma di carriere. A ogni sentenza.

La Corte Costituzionale boccia, tra le altre, la riforma contro i dipendenti pubblici assenteisti. Naturalmente non è voluto – i giudici personalmente sono stakhanovisti, lavorano fino a un giorno a settimana (per questo li paghiamo più del presidente della Repubblica). Ma si sono distratto o che?


No, dice, è la forma: il governo può decretare il licenziamento dei furbi del cartellino solo dopo che le Regioni hanno dato il loro assenso. Tutt’e venti?

Fare i decreti attuativi, della riforma della Pubblica Amministrazione come di ogni legge, è fatica improba, di mesi e anni. Si redigono per annullare gli effetti liberatori della legge - la certezza del diritto. I decreti sono lo strumento della burocrazia per riappropriarsi del potere di interpretazione, e quindi di decisione. Il polmone della corruzione.

Meno della metà del Parlamento europeo, 304 deputati contro 387, ha votato una mozione contro la Russia. Le guerre le fanno sempre le minoranze.

La mozione antirussa al Parlamento europeo è passata perché metà dei contrari si sono astenuti, per non mettere in difficoltà i favorevoli. La democrazia ha molte pieghe.

Tutti i Prodi, fratelli, nipoti, sono per il No. Romano Prodi esita, che è quello che dovrebbe avere le idee più chiare. Questo referendum è amletico: un dramma in forma di farsa.

Capalbio fa causa contro l’obbligo di accogliere immigrati, e naturalmente la vince, il giudice di Orbetello è inflessibile. Anche la sinistra chic e vip che popola Capalbio è contenta. Assolvendosi col dire: “Bisogna che gli immigrati abbiano un’accoglienza degna, non si può mandarli così alla rinfusa in giro per l’Italia”. Degnamente ipocrita. Poi dice che vince Grillo.

Trump spiazza i media, con la nomine delle donne. Ma la frase è ricorrente, li “spiazza” sempre, sull’Obamacare, sul Muro del Messico, sulla Nato, come già sulla sua stessa elezione a presidente presidenziale. Ora, i media non dovrebbero conoscere i meccanismi dello “spiazzamento”? Non sono più media, sono tribù.

Hillary Clinton ha avuto due milioni di voti in più di Trump – e potrebbe averne ancora di più, il conteggio non è finito. Ma ne ha avuti due in meno nei tredici “swing states”, quelli che decidono. Era più politicamente preparato – aveva fatto meglio i compiti, cioè i calcoli – l’impolitico Trump, con una macchina elettorale molto minore, della politica Clinton, con una macchina miliardaria.

“La Gazzetta dello Sport” allarga i fronti contro la Juventus: è guerra a tutto campo. Sarà dura per tutta la Rcs, “Corriere della sera” compreso e i  periodici: tutti torinisti d’ora in pi. Ma si venderà una copia in più o in meno?

È vero che Cairo è l’unico editore di giornali in attivo, insieme con De Benedetti. Ma l’aria è brutta: uno studio Mediobanca calcola che nel quinquennio 2011-2015 i nove principali gruppi editoriali  hanno perso il 32,6% del fatturato (-1,8 miliardi), cumulando perdite nette per 2 miliardi. E hanno tagliato oltre 4.500 posti di lavoro, scendendo a 13 mila dipendenti totali.

Nel quinquennio le vendite di quotidiani, già dimezzate rispetto ai sei milioni di copie dieci anni prima, si sono ridotte di un altro terzo, da 2,8 a 1,8 milioni giornalieri.

Milano sottrae a Torino, dopo le banche, la Fiera del Libro. Torino si compra il “Corriere della sera”: 1-1? Il “Corriere” val bene una fiera?

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