giovedì 3 novembre 2016

Poco calcio e poco business

Troppo per lo spettacolo, poco per il business: il calcio in Italia non ha più belle partite, e non è nemmeno vincente, quello dei grandi club, Inter, Juventus, Milan. Si salvano Roma e Napoli, a sprazzi, i tifosi possono godersene ancora belle partite, perché hanno ancora calciatori con la voglia di giocare, tenuti svegli da un tifo inesausto. E si salvano i club medi, cittadini, con la politica della lesina: ogni anno qualche euro in più, d diritti tv e ristorni Uefa, e niente ambizioni. Ma il grande calcio non fa spettacolo e non fa soldi, non smuove interessi solidi
L’Inter è caso ormai clinico. Padroni assenteisti che ne sfruttano il marchio per piccoli affari: Thohir per i prestiti all’8 per cento e gli sfioramenti sugli acquisti\cessioni, i cinesi per gli sfioramenti e per il merchandising nel loro sterminato mercato. Il procuratore mediatore Kia Joorabchian, lavorando per Thoir e Suning, è quello che fa e disfa la campagna acquisi\cessioni dell’Inter (e gli stessi equilibri proprietari) da circa tre anni, con spese enormi e entrate minime, anche in termini di valutazione del parco calciatori. Da ultimo ha imposto De Boer, Joao Mario e Gabigol, e ora impone, per sostituire De Boer, un altro “suo” allenatore, Hiddink, o Vilas Boas, o Vitor Pereira.
La Juventus ha speso alcune centinaia di milioni, tramite mediatori multimilionari, per una squadra senz’anima. Inerte in campo e nello spogliatoio – lo spogliatoio faceva la differenza nella rinascita dopo lo scandalo: una squadra mediocre ma vincente, a forza di volontà. Un gruppo di calciatori superpagati ha messo assieme, senza disciplina se non formale, e senza orgoglio di squadra, che si occupano di coltivare la personale immagine, protetti da procuratori superpotenti. Un mondo che la società non ha la forza morale e d’immagine per governare, e nemmeno quella finanziaria dei club spagnoli e inglesi. In piccolo, avendo pochi prim’attori, gli stessi problemi ha il Milan. Che non pensa di risolverli, ma di liberarsene dando il club agli affaristi cinesi.
C’è un affarismo ricco attorno al calcio, dei principati arabi, del boiardo russo Abramovich, e dei club spagnoli. Ricco soprattutto di privilegi fiscali. E c’è quello spicciolo, molto italian style, dei cinesi, di percentuali anche minime ma in grandi numeri. I procuratori dei calciatori, protetti dalle residenze fiscali, guadagnano tanto da poter lasciare sfioramenti ovunque, a qualsiasi dirigenza, sotto copertura anonima garantita.
Un settore molto opaco, con evidenti tracce di corruzione e appropriazione indebita. Protetto fino ad ora dall’antitrust europeo e dalle polizie fiscali nazionali.  Cui l’Italia, in teoria patria della corruzione, si adatta evidentemente poco e male.

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