La
disoccupazione aumenta. Si dice per effetto del “rientro” di giovani e donne
sul mercato del lavoro. Ma il tasso di occupazione era fermo da metà 2015. Inoltre,
il tasso di occupazione è stato tenuto su, nel mese, da un aumento dell’1 per
cento degli occupati indipendenti, 56 mila unità (commercianti, artigiani,
etc., attività imprenditoriali).
Gli
occupati sono il 5 per cento in meno rispetto al 2007. Fatto cento il numero
degli occupati a fine 2007, lo stesso indice si ferma a 95 nel 2015.
La
produttività del lavoro è diminuita ancora nel 2015, di un meno 0,3 per cento. Molto
al di sotto della medie Ue, più 1,6 per cento, e della media ìeuro, più 1,1 per
cento.
L’Italia
è l’unico paese a produttività del lavoro in calo tra le grandi economie
europee, Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna.
Il
rapporto Istat sulla redditività dei fattori di produzione vede l’Italia nell’insieme
sempre indietro agli altri paesi europei da venticinque anni a questa parte,
con un calo medio dello 0,1 per cento ogni anno. A causa soprattutto della
produttività del lavoro (valore aggiunto per ore lavorate), sempre debole
rispetto agli altri fattori di produzione. Si investe poco in lavoro.
Si
investe non bene alla voce capitali. Sì in macchinari, male in tecnologia, con
una calo ancora più consistente nel 2015 che per il fattore lavoro: meno 1 per
cento.
L’economia
figura in ripresa, debole, forse l’1 per cento, forse lo 0,5, ma il reddito
ristagna, e la domanda si mantiene debole. Con i prezzi ufficialmente in declino, malgrado il rincaro delle fonti di
energia. È la deflazione, una condizione in cui l’Italia versa ormai da un
venticinquennio. Che purtroppo non si dice e non si affronta.
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