Aristotele – C’è una lunga
tradizione luterana di avversione ad Aristotele. La filosofia aristotelica – la
scolastica – è per lo Spener, il fondatore del pietismo, “Cons. Theologiae”, “il più grave malanno per il
cristianesimo”. Ogni altra filosofia è migliore, in specie la platonica.
Capitalismo – Può essere
“ascetico” anche di fatto, per esperienza storica. Molti asceti vengono da
famiglie mercantili, tra essi san Francesco e i Borromeo, e nel luteranesimo.
Molti imprenditori vengono da famiglie di pastori di fede, per esempio Cecil
Rhodes – ma specialmente nel calvinismo.
Colpa – Il senso tragico
della colpa si vuole distingua Lutero, di fronte a Roma e a molti
luterani, per esempio i pietisti. Ma
non della propria colpa, di quella dell’umanità.
Evoluzione – Un fatto è
indubbio: è stato l’impulso evolutivo, al cambiamento (curiosità) se non al
miglioramento (etica), a muovere la civiltà. Verso meccanismi comunque
complessi , se non migliori.
Diversa
è l’evoluzione fisica della materia che è piuttosto un adattamento.
Gelosia –È tribunale che non si perde una piega, lucida e saettante come ogni
logica che non ha fondamento, e più si acumina con le argomentazioni a difesa.
È un giudizio in tribunale, senza difesa,
l’accusatore è anche giudice e inquirente.
La gelosia esiste, si sa. E viene, si
dice, con l’amore. L’amore di sé esclusivo, feroce. Ma è ferale pure
l’indifferenza.
È possessione, giusto la definizione di
Erasmo, dolce bastardo - che l’amore diceva musica (Erasmo non fu sposo ma se
n’intendeva, figlio di un seminarista e una ragazza senza famiglia). Dell’altro
e di sé. C’è vita tuttavia nella gelosia, pure in quella familiare, tragedia a
bassa intensità.
L’assassinio quarant’anni fa a Houston del
medico romano Sandiford da parte della moglie gelosa, texana, di una cultura
cioè che si vuole di forti individualità, tanto più in una donna colta, giovane
e bella, era di un essere umano il cui guscio si schiude. Gli americani,
malgrado tutto, si rassegnano: ognuno prospera, e intristisce, in forme
sconsiderate, c’è fatalismo nel paese della libertà. Mentre non c’è invidia,
mancando il sospetto. La gelosia è dunque curiosa, passione insoddisfatta.
“Nulla è così frammentario come il
matrimonio, e niente meno del matrimonio sopporta un cuore diviso”, stabilirà
Kierkegaard, l’esperto in (non) matrimoni. Con la postilla: “Neppure Dio è
altrettanto geloso”.
Indiscrezione – “Le indiscrezioni
seguono, come ombra, ogni segreto”. Lo ha scritto Pessoa, ma è il motorino
d’avviamento di Kafka. Le indiscrezioni inconcludenti: a loro volta
enigmatiche. Il segreto alimenta se stesso – l’indiscrezione ne allarga la
macchia, su più piani: non “libera”, non risolve, ma complica.
Progresso – Si fa – si produce
– nella differenza. Se tutti fossimo ugualmente belli-e-buoni si sarebbe nel
problema di Hume e le donne tutte belle: perché alcuni sì, i pochi, e altri no?
Se tutte le donne fossero belle come la più bella, le troveremmo normali, di nessun
interesse.
Discende
dalle diseguaglianze.
Razionalità – Weber la
propone (in questa formulazione in “L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo”), come razionalizzazione dell’irrazionale. Non per coerenza interna
cioè. Quindi multipla e indefinibile?
“Una
cosa non è «irrazionale» in se stessa ma da un dato punto di vista razionale”. Anche gli esempi che porta –
in polemica con Brentano, che questa indefinitezza gli rimproverava -confermano
che Weber era per questa flessibilità: “Per l’irreligioso è «irrazionale» ogni
condotta religiosa della vita, per l’edonista lo è ogni condotta ascetica,
anche se, misurate secondo il loro fine ultimo, costituiscono una «razionalizzazione».
Tolleranza – Si ipotizza e
si sviluppa contro il calvinismo e il puritanesimo anglicano. Sempre molto
diffidenti contro la cultura: poesia (superstizione), feste, teatro, arte
religiosa, letteratura amena (romanzi), danza, canto. Oltre che contro la
conversazione, l’ostentazione, il superfluo. Shakespeare più volte apostrofa
critico i puritani, per l’intolleranza.
Lo
stesso nell’etica sociale. Fuori dell’etica personale, di massima libertà, della
divisione sociale del lavoro, il puritano inclina a schiavizzare il lavoratore,
che deve impegnarsi sempre, tutti i giorni e a tutte le ora, eccetto un paio la
domenica da dedicare all’ufficio sacro. E bene, a maggior gloria di Dio. Il
popolo è anche teorizzato meglio povero, per restare fedele a Dio.
Nasce
per questo, per essere nato ed essersi sviluppato sotto questo segno
protestante, il lavoro alienato in fabbrica, dove al lavoratore si richiede nient’altro
che la prestazione fisica. Non un adempimento, una partecipazione, un’intelligenza.
Un’alienazione che è durata fino al fordismo e oltre - fino all’applicazione
delle teorie partecipative, o di responsabilizzazione, del lavoro, di ritorno
dal Giappone.
Si
afferma in Olanda, in territorio prevalentemente calvinista, per incrementare
il potenziale di affari. Nella prima società secolare - l’insegnamento laico vi
debuttò nel 1806. L’Olanda è la prima a istituire nel Seicento la tolleranza di
credo, per far circolare il denaro – i cattolici relegando comunque in
soffitta, il piano terra doveva restare libero per i commerci.
Di
un laicismo peraltro peculiare: la Repubblica impose la libertà di culto
affinché, ognuno essendo libero di praticare la religione, il libero pensiero
potesse restarne escluso - si arriva prima a Dio pensando liberamente.
Amsterdam
mescolò, con la tolleranza, nella Compagnia delle Indie i cristiani agli ebrei
e ai musulmani, e gli ugonotti ai cattolici: più patrimoni, più investimenti.
Per fare concorrenza alla cattolica Anversa - la “nouvelle Carthage” di Georges
Eekhoud, dove i quartieri si chiamano Bourse e Fabrique, e lo spirito del
capitalismo usciva la mattina in corteo, di “anseatici fastosi, che si recavano
alla Cattedrale o alla Borsa preceduti da suonatori di piffero e violino”.
Fu
presto contornata, in ambito religioso protestante, dalla tolleranza come indifferenza,
che Schleiermacher filosofò, poi adottata da Nietzsche - “Il regno della
tolleranza è stato umiliato da mutati valori di fondo e ridotto a pura viltà, a
mancanza di carattere”. Il ministro calvinista Ancillon lo aveva spiegato in
precedenza all’abate Degola a Berlino, che “la tolleranza è una parolina per
neutralizzare le opinioni religiose, e finire nell’indifferenza”.
La
tolleranza è essere tollerati, col cappello in mano, ringraziando: implica una majestas,
una superiorità morale.
È
bene essere tolleranti in epoca non permissiva, si rischiano altrimenti i
bisogni in pubblico.
zeulig@antiit.eu
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