venerdì 11 novembre 2016

“Vi darò tutto”, f.to Trump

Una svelta incursione nel fenomeno Trump, “Un fenomeno americano” è il sottotitolo. Visto purtroppo come fenomeno da baraccone. Anche per Ferraresi, studioso di storia americana (“Obama, l’irresistibile ascesa di un’illusione”, “Introduzione alla politica americana”), corrispondente da New York del “Foglio”, lo sfondo è sempre delle “americanate”, incomprensibili ai probi e colti europei. E Trump resta quello dei cartoons, megalomane, riccastro, evasore, razzista, misogino, violentatore, spia di Putin. Ma non c’è altro, Trump è unico in libreria
Lo scaffale politico è solitamente ingombro. Magari di libri usa e getta, ma l’offerta è considerevole: ci sono stati moltissimi libri su Berlusconi, cento, duecento?, molti su Renzi, parecchi sui Clinton, Hillary compresa, su Trump non ce ne sono. Eccetto questo di Ferraresi. Che ha il merito di averne afferrato la consistenza. Anche se critico, anche lui, più che informato – è tutto un mettere le mani avanti, alla cieca, come contro una peste. E ne aveva afferrato in anticipo la chiave del successo politico: “Il trumpismo è il lettino dello psicanalista di una nazione bipolare. Il messaggio ambiguo e liquido si presta a un ascolto selettivo: il pubblico filtra e trattiene ciò che vuole, tutto il resto – pensa – è una figura retorica, è la provocazione di un artista contemporaneo, sarebbe sciocco intenderla in senso letterale. È il modo in cui viene pronunciato a trasmettere vitalità, il tratto dominante di questo leader postideologico”. E il senso del suo messaggio elettorale: “Vi darò tutto”.
Un candidato che “riflette” i bisogni e i desideri dell’elettore, più che argomentarli in astratto.  E in quel messaggio apparentemente insignificante, o assurdo, coagula invece la storia, il senso della storia, degli ultimi trenta-quarant’anni: “tutto” è quello che vi aspettavate e vi è stato tolto. Le “proposte scioccanti” e il “linguaggio sboccato” sono un modo come un altro per dominare, come al candidato è necessario, un fronte mediatico al 99 per cento ostile.
Non solo. Il lettore comune è arrivato alle elezioni di martedì col senso di un’America compiuta, sotto il lungo segno di Obama. Ferraresi sapeva che non è vero: l’America dice “ferita”, col supporto di Robert Putnam,  “Our Kids: the American  Dream  in Crisis”. Dove si documenta la rottura per la prima volta del cardine del Sogno Americano: che i figli avranno una sorte migliore dei padri, che si vive per migliorarsi e migliorare. Una disillusione epocale, che Ferarresi documenta viva, indirettamente, anche nei sostenitori di Sanders, il concorrente di Hillary Clinton alla candidatura democratica.
Ferraresi cita la proliferazione dei suicidi, mai cosi tanti, e il ritorno dell’eroina e dell’alcolismo. Avrebbe potuto citare, da cronista, il fallimento della riforma sanitaria di Obama, “Obamacare”, per il costo dell’assicurazione. L’eccessivo numero di “scoraggiati”, che si esiliano dal mercato dal lavoro, e di posti interinali, a paghe infime, i due “fenomeni” che sono alla base della fenomenale riduzione della disoccupazione al tasso fisiologico del 5 per cento: il monte ore lavorato negli Usa è più basso che nel 2008. I cinquanta milioni di americani, o poco meno, che ricorrono a sussidi pubblici per sfamarsi.
Resta che Trump ha vinto in positivo, non in discesa, non per abbandono. Ha sconfitto una rivale che partiva con molti vantaggi: essere donna, essere stata segretario di Stato, nonché senatrice, e first Lady per otto anni, avere il sostegno di tutto il suo partito e di una buona metà del partito di Trump, i Bush in testa, avere il sostegno quotidiano del presidente in carica, e quello illimitato della grande finanza, nella fondazione familiare, nei media, nell’editoria, avere il sostegno dell’Europa e dei potentati arabi. Il voto per Trump è stato un voto per, non un voto contro – Ferraresi lo sapeva, ma forse non convinto: dovrà scriverne un altro.
Mattia Ferraresi, La febbre di Trump, Marsilio, pp. 159 € 12

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