Il senatore
record di PaterNÓ
Il record del No, 81,6 per cento, si è
registrato a Paternò, feudo politico Dc della famiglia Torrisi, ora in persona
del senatore Salvatore, detto Salvo. Del partito di Alfano, ma questo è accessorio:
il senatore rivendica con orgoglio la politica del padre Antonio, vicesindaco di
Paternò e presidente della Provincia di Catania, e dello zio, l’on. Nino Lombardo, autore di “Dai Normanni ai democristiani: storia di un
gruppo dirigente”, o dell’immutabilità della storia, deputato per molte
legislature. Il senatore è stato giovane Dc, poi Popolare, quindi
berlusconiano, in Forza Italia e nel Popolo delle libertà, e infine, per
protesta contro la pretesa di Berlusconi di far firmare dimissioni preventive ai parlamentari delle proprie liste
(contro i passaggi di scuderia), nel Nuovo Centro Destra, il partito di lfano – “fin da giovane impegnato nella DC”, recita
la bio, “e, successivamente, nel PPI, approdando, poi, tra le file di Forza
Italia, nel PdL e quindi nel Nuovo Centrodestra”.
A Paternò c’è un grosso problema:
la crisi dei call center mette a rischio 600 posti di lavoro, seppure precari e
poco retribuiti. Ma l’argomento decisivo per il No è stato il ragionamento:
senza Senato, chi avrebbe svolto le pratiche per Paternò e (mezza) Catania? Il
successo del No è un successo personale del senatore Torrisi, vicepresidente
della Commissione Affari Costituzionali per conto della maggioranza di governo
che aveva voluto la riforma.
Difesa della Costituzione o
vecchia politica, quale segno dare al No? Al Sud non ci sono dubbi: Camere
plurali – due, e perché no tre, o quattro - per meglio esercitare il sottogoverno.
Paternò prima per No, Napoli seconda, col 75
per cento, Napoli città. Non c’è altro segno a tanti NO. Nel Lazio, guidato da Nicola Zingaretti, uno dei capi del
Pd, il partito del Si, i No sono stati il 63,2 per cento – ma più
impressionante è il loro numero, avendo quasi doppiato i Si: 1.914.397 contro
1.108.768. In Abruzzo (presidente Luciano D'Alfonso, altro Pd) sono arrivati al
64,39 per cento. Poi più si scende, più i No aumentano. Nella Sardegna di
Francesco Pigliaru, altro Pd, sono stati il 72,22 per cento, Nella Sicilia di
Rosario Crocetta , e del senatore Torrisi, il 71,58. Nella Campania dello
schieratissimo Vincenzo De Luca il 68,4. In Puglia, presidente-governatore il
Pd Emiliano, il 67,16. Il 67,16 in Basilicata (presidente il Pd Marcello
Pittella), il 65,8 in Calabria (presidente il Pd Mario Oliverio).
L’Italia è un paese che non vuole cambiamenti,
questo è il senso del voto, la costituzione non c’entra, Renzi nemmeno. E il
Sud, che più dovrebbe volerli, è quello che meno li vuole.
La ricostruzione imperfetta della perfezione
La
perfezione imperfetta è il Sud, nella ricostruzione di Massimo Bottura, il
cuoco migliore dell’anno. In un’intervista geniale con Aldo Cazzullo:
O
l’imperfezione assoluta: “Il dolce che
preferisco si chiama «Ops! Mi è caduta la crostata al limone». Una crostata
rotta è diventata un’icona della cucina internazionale. Come il nostro Sud: che
è l’imperfezione assoluta, eppure è il posto più bello del mondo; perché un
posto bello come la Valle dei Templi o come Capri non esiste in nessun altro
Paese. Anche se tendiamo a dimenticarcelo”.
La picola
comunità è impenetrabile
“Ho
sempre avuto un’avversione insuperabile per le piccole città… Per le piccole
sperdute città, sì…. Sono nata a New York City e non ho mai avuto alcuna paura,
nemmeno da piccola, delle strade o delle facce sconosciute dei forestieri, ma
ogni volta che mi sono trovata in un posto di quel tipo ho provato la
sensazione opprimente che ci fosse, subito sotto la superficie, tutta una vita
nascosta, tutta una serie di implicazioni segrete, di significati e terrori, di
cui non sapevo nulla”. Una sommaria ma penerante antropologia della piccola
comunità disegna una ragazza del Sud in
“Festa da ballo”, un racconto di Francis Scott Fitzgerald, egli stesso nato
nella famiglia di un gentiluomo del Sud, dove era cresciuto. Che specialmente
si applica al Sud, dove l’urbanizzazione è frammentata, e poco o nulla
scalfisce le concrezioni storiche nelle comunità per secoli chiuse. Una forma
probabilmente di difesa, magari non apprezzata, ma “naturale” e coriacea
Queste
sensazioni la giovane sente nelle piccole comunità in genere: “Nelle piccole
città (quelle che hanno fra i cinque e i venticinquemila abitanti) antichi
rancori, vecchi amori mai dimenticati, fantasmi di scandali e tragedie lontani negli anni sembrano non voler morire,
ma resistono aggrovigliandosi sempre di più nel naturale alternarsi delle maree
della vita”. Ma di più al Sud: “È una sensazione che ho sperimentato con forza
straordinaria soprattutto al Sud”, continua la narratrice, appena lontana dalle
città. “Ho spesso l’impressione di non riuscire più a comunicare con la gente
intorno”, constata: “Uomini e donne parlano una lingua in cui sono
straordinariamente combinati, in un modo che non riesco a spiegarmi, gentilezza
e violenza, moralismo fanatico e indifferenza”. Questa soprattutto, per
l’estraneo.
È
una sensazione che Mark Twain aveva già rilevato in “Huckleberry Finn”, dei paesi
lungo il Mississippi, con le loro fiere, inconsulte, ostilità interne, e
insieme l’attaccamento alla tradizione, per modi di fare, di dire, di pensare.
Zangrei
Siamo di Pedavoli. Siamo veramente di
Paracorio, che insieme a Pedavoli forma il paese, ma come logo aggiunto, “accanto
a”, come intende il greco da cui il nome origina. “Siete di Pedavoli?”, “Venite
da Pedavoli?”, era la domanda consueta. Fino a qualche tempo fa – e tuttora non
è desueta. Lo stesso per esempio che per Taurianova. Che si compone di Radicena
e Iatrínoli, ma tutti dicevano – e dicono – “di Radicena”.
Alcuni luoghi sono dominanti, altri
subordinati, la toponomastica unitaria, centralizzata, modernizzata, non ha
mutato la sostanza della cosa. C’è una gerarchia storica, che i prefetti non
possono mutare: alcune comunità sono non esistenti, o di esistenza precaria,
succube.
A
Paracorio c’era, c’è, Arretu livari, gli ulivi di dietro. Cioè isolati dal borgo
di Paracorio, che era un sottoborgo di Pedavoli. Una volta era pieno di limiti
e frontiere: le comunità erano stanziali, non si mescolavano o allora
eccezionalmente. Arretu livari era abitato da zangrei – come tuttora: da pastori. O da pajechi, quelli che venivano da Arretu marina, la marina di dietro,
o l’altro versante della montagna, per indicare la gente di Natile e Careri,
qualcuno anche di San Luca.
Pajecu
o paddecu è grecanico, parlante
greco. Era un appellativo spregiativo degli ellenofoni, che il “Vocabolairo
fraseologico” di Filippo Condemi, 2006, dice: “All’antica, sciocco, semplice,
ignorante”, un termine “coniato a Reggio, in senso negativo, nei confronti degli
abitanti che provenivan dai paesi grecanici”, dell’entroterra e dello Jonio
remoto, isolato. “Essere greci” era parlare strano, e quindi essere poveri,
ignoranti, sporchi, Calzati coi “mitti”, grecanico per cioce, ultimamente (dopo
la guerra) una suola di pneumatico, di automobile o meglio di camion, legata
sopra il piede con spago o fil di ferro.
Zangreo
ha orifigine classica. Simone Weil, “Quaderno X”. Da Core viene generato Zagreo.
E “zangrei” sono tuttora in grecanico i pastori: “Zeus è diventato drago per
generare Zagreo da Core mediante un bacio”.
leuzzi@antiit.eu
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