“Tarantula”
è titolo di Bob Dylan, del suo libro giovanile di racconti e divagazioni (“è il
titolo del romanzo di Bob Dylan”, taglia corto wikipedia-disambiuazioni),
nonché di una diecina di single e album di gruppi pop, e dell’antagonista
dell’Uomo Ragno. Quanta etnografia sprecata sul Sud.
“La
porta”, dice Isidoro di Siviglia (“Etimologie”), “è ciò grazie a cui qualcuno ci
impedisce di entrare”. Una funzione inversa-avversa che si può dire dell’Italia
verso il Sud.
Ostium, il termine
latino che Isidoro usa per porta, entrata, sa anche di nemico, hostis.
Si
celebra la nuova Salerno-Reggio Calabria a palazzo Poli a Roma con una serie di
foto squallide di luoghi abbandonati, sporchi, intristiti, pieni di rifiuti. Più - per “rendere l’idea” meglio? - foto della statale jonica 106 fuori stagione: la costa
dei gelsomini, una delle più attraenti d’Italia, vista d’inverno, con le
insegne divelte o sfilacciate, i locali abbandonati, in un deserto umano e
urbano, alla luce grigia di una giornata di scirocco. E magari questa
celebrazione è costata: il pregiudizio si fa pagare.
La qualità
dell’informazione
Nella
classifica sulla qualità della vita del “Sole 24 Ore” la provincia di
Massa-Carrara viene al primo posto in Italia per numero di librerie in rapporto
agli abitanti. Per esperienza diretta si può testimoniare il contrario: ci sono
solo due librerie a Massa e una a Carrara. Con assortimento limitato alle
novità e ai best-seller - i libri che si cercano bisogna ordinarli. Che
sopravvivono con le vendite scolastiche. Delle due librerie di Massa, una ha appena
chiuso, e l’altra lavora stancamene – si è ridotta alla metà dello spazio.
Il posto della libreria chiusa è stato preso da un Mondadori store, un
franchising, finché dura, procurato dai genitori, commercianti non librai, ai
figli.
Non
ci sono librerie nei grandi paesi delle Apuane, la regione di Massa-Carrara, da
Monitgnoso alla Lunigiana – Pontremoli esclusa, ovviamente, ma la città dei
bancarellari è eccentrica, di diffcile accesso. Non si sono librerie nelle
città di mare, da Marina di Carrara fino a Viareggio. Qui ha aperto un altro Mondadori
store, la metà della vecchia libreria - la città del rpemio Viareggio aveva un’ottima
libreria internazionale, ma ha chiuso già una dozzina d’anni fa.
L’ideale dello
sfascio
“Rubate oltre 100 Cinquecento
in car-sharing a Roma in sei mesi”, scopre “Il Mattino” a metà mese: “Tre
arresti nel Napoletano”. Ma l’impresa è molto più vasta, oltre che ingegnosa: “I
ladri manomettevano il computer di bordo, smontavano l’auto e rivendevano i
componenti sul mercato nero”.
Viaggiavano tranquillamente
fino a Roma, in autostrada. Facevano anche tre viaggi in una giornata, sempre
in franchigia. Una volta che uno di loro, prima di raggiungere l’autostrada, si
schiantò contro un paracarro, nessuno lo vide, se ne andò tranquillamente a
piedi. Rubavano le Cinquecento in car-sharing a una società dell’Eni, Enjoy, quelle rosse, non
altre. Perché delle Cinquecento, a differenza dalle Smart, sapevano
disabilitare il dispositivo di localizzazione, il tracciamento satellitare. Le
trasportavano a Napoli, abili a disinnescare anche i controlli di Polizia.
Non scassinavano le auto che
rubavano, le aprivano con la tessera, come un comune utente di Enjoy. Il traffico è stato scoperto per caso, nella
perquisizione domiciliare di uno dei fermati, per altri suoi problemi con la
giustizia, grazie al ritrovamento fortuito delle tessere magnetiche e vari
documenti di terze persone, utilizzati, scrive il giornale di Napoli, “per
creare fittizi «utenti Enjoy». Oltre agli autori dei furti, sono stati
individuati diversi soggetti che prestavano i propri dati personali per
richiedere le carte di credito utilizzate per la registrazione al portale
www.enjoy.eni.com, mentre altri due soggetti si occupavano del riciclaggio
delle autovetture Enjoy oggetto di furto. In un’occasione i tre arrestati, dopo
aver rubato un’autovettura a Roma, ne hanno dichiarato lo smarrimento della
targa a Napoli ed hanno provveduto a reimmatricolare il veicolo, che è stato
venduto ad un acquirente in buona fede residente in provincia di Matera”.
Un
danno per l’Eni da un milione e mezzo di euro. Un beneficio per i ladri di poche
diecine di migliaia di euro. Come distruggere una miniera per venderne i telai
di legno. Con spreco oltretutto d’ingegno, di abilità manuale e di tempo. Napoli
potrebbe essere la capitale industriale, per ingegnosità e applicazione. Ma
come per le famose lavorazioni à façon,
su ordinazione, si limita agli ossicini, lascindo la polpa fuori. A costo
spesso di violenze e carcerazioni.
Tra il 1924 e il 1926
il filofofo tedesco Afred Sohn-Rethel visse a Napoli e Capri. Osservando i
pescatori e gli automobilisti, alle prese con vecchi arnesi, ne derivò una teoria
della tecnica che intitolò scherzosamente “L’ideale dello sfascio” - “Das Ideal des
Kaputten. Über neapolitanische Technik”, poi ricompreso nella raccolta “L’invitation
au voyage zu Alfred Sohn-Rethel”, 1979. Un testo bizzarramente non tradotto,
fra i tanti suoi. Basato sull’osservazione
che per un Napoletano le cose cominciano a funzionare quando non servono più.
Quando funzionano, intatte, da sole, non lo interessano e anzi in certo modo lo
indispongono. Quando invece sono morte, e manegiandole nei più vari modi, a
volte con una semplice colpo assestato al posto giusto al momento giusto (“a
martellate”, si diceva), le rimette in moto, allora è soddisfatto. Il
Napoletano comincia cioè a utilizzare la tecnica (o: la tecnica interviene)
quando le cose non vanno, e meglio ancora quando hanno esaurito la loro
funzione.
Da questa osservazione
semiseria il filosofo trae un quasi assioma, o paradigma, della tecnologia: la
tecnica comincia nel momento in cui l’uomo sa opporsi all’automatismo delle
macchine, che gli è esterno e quasi ostile, e comunque cieco, o meglio a impadronirsene,
al punto di riutilizzare le macchine stesse per altri usi: spostarle, frammentarle, ricostituirle,
ricostruirle. Sohn-Rethel porta l’aneddoto del ragazzetto di Capri che col motore
del motorino faceva la panna montata.
Ma tanta perizia e energia impegnate
produttivamente no? Resta il problema del perché Napoli estrae il 10 per cento
del valore di ogni cosa, dal museo archeologico opulento al panorama, alla cucina, alla
capacità manuale, nel tessile-abbigliamento e nella meccanica, invece del 110
per cento. E quanta operosità sprecata – di dice l’abuso, i “disoccupati organizzati”, il sottobosco
e il crimine, ma ciò che caratterizza Napoli è l’operosità. L’ingegno e l’applicazione.
Quante energie sprecate – a basso reddito - nelle lavorazioni à façon del tessile, e nell’industria della
copia, dei falsi. In evasione fiscale e anche legale, che è sempre indice di
capacità - tanto più, anzi, per operare nell’illegalità. Un territorio infangato
nella popolosità che peraltro non emigra. Molto meno, e con più resistenze, che
non i calabresi, o i siciliani, o i pugliesi. Anche il napoletano che lavora a
Roma: si sobbarca al pendolarismo, non lascia. Ma è inetto in casa. A meno di
non teorizzare un vizio del male congenito, una tabe ereditaria: un’operosa
follia.
leuzzi@antiit.eu
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