martedì 27 dicembre 2016

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (312)

Giuseppe Leuzzi

“La natura dei luoghi crea i comportamenti e fissa i tipi etnici”, così Andrea Giardina, il latinista, in “L’Italia romana. Storie di un’identità incompiuta”, a proposito del brigantaggio meridionale. E altrove dove? In Romagna, forse – in realtà sull’Appenino tosco-emiliano. Ma sulle Alpi? Anche sull’Appennino Ligure. Le determinanti geofisiche non sono determinanti.

Nella Valutazione della Qualità della Ricerca del Miur, il ministero dell’educazione pubblica, appena completata per gli anni 2011-2014, la piccola università Magna Grecia di Catanzaro figura al 23mo posto tra le 132 strutture censite, e l’università del Sud che ha più titolo alla “parte premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario” dello Stato per il 2016 – per le ricerche di diritto e di medicina. Caso unico al Sud, insieme con L’Orientale di Napoli e il Politecnico di Bari – ma con un coefficiente molto milgiore, 4, rispetto all’1 degli altri due istituti. Non è una notizia di cui i giornali calabresi ritengono di menare vanto. O

L’alba al Montalto
“Morti di stupore”, così Umberto Zanotti Bianco racconta la “spuntata”, l’alba, sul Montalto (“Tra la perduta gente”, 104), “come assistessimo al miracolo della creazione del mondo, erravamo da una sponda all’altra della nostra vedetta, mentre nel mare lentamente emergeva tutt’intera la punta del piede d’Italia, la Sicilia, che di lassù sembrava unita al continente, e sparse in quell’infinito, petali disseminati dal vento, le Eolie. Il fondo azzurro cupo dell’atmosfera andava smorendo, trasformandosi in colori dolci e tenui da arcobaleno, dal viola all’avorio antico, al roseo, che si ravvivavano e trasmutavano di continuo”. La scala dei colori in movimento come in un caleidoscopio. “Ed ecco, duro e improvviso come un colpo di cembalo in quel silenzio senza rmori terreni, il primo dardo del sole, non ancora emerso, configgersi nelle nevi dell’Etna. Ecco miriadi di dardi d’oro colpire tute le vette, e infine l’astro ilare e giovane balzare su…”

La Montagna è compagna. Dice Zanotti Bianco poco più in là: “Questo l’ascetico insegnamento che ci dà la montagna e al quale richiama il veggente di Célico: “nostrum est ascendere super speculum montis”. Veggente di Célico è Gioacchino da Fiore.

Autobio
Avevamo anche noi i Neet, i Not Engaged in Education, Employment or Traning. Che ora non sono più prerogativa paesana, del maggiorascato, delle famiglie patriarcali. Che uno o più figli minori confinavano alla singletudine. Scapoli, che di preferenza stavano in casa. Dove fumavano.

Il piccolo paese un tempo sembrava grande. Con quartieri minimi, minutamente dettagliati, che erano mondi conchiusi: l’Oratorio, i Lazzari, la Strada di sotto, lo Stretto, Delìa, le Case Popolari,  Sant’Elia, San Francesco, Buzzurra, etc. E il territorio circostante minutamemte denominato, Misuraci, Ieraci, Gelomargo, Mangiavacche, Mara Monica, Santa Marini…

Eravamo iperpatriottici nella Grande Guerra. Come tutti, ma i borghesi nostri di più. Abbiamo perfino ospitato – guai a ricordarglielo? – gli sfollati friulani e giuliani di Caporetto, i 250 mila che attraversarono il Piave in discesa. Giovanna Procacci ne calcola un quarto di milione, 250 mila. Molti furono ospitati nell’estremo Sud, e anche da noi.
Un Comitato di Mobilitazione Civile fu costituito il 14 giugno 1915, con tutti i notabili del paese, una cinquantina di persone: i venti consiglieri comunali, gli arcipreti delle due parrocchie, gli insegnanti (elementari) “di ambo i sessi”, i farmacisti, l’ufficiale sanitario, i presidenti del Consorzio Stradale, delle Società Operaie, delle Confraternite religiose, del Corpo musicale, il maresciallo, l’ingegnere, il notaio, e una diecina di piccoli proprietari. Che tre giorni dopo fecero una prima raccolta fondi in Paese, per sovvenire alle famiglie povere dei militari, tanto più se feriti. Nonché alla Croce Rossa Italiana. Una contabilità minuta fu tenuta dal Comitato, che Raffaele Leuzzi rispolvera in “Il contributo del territorio di Mesogaia alla Grande Guerra”. Compreso il gran numero di confezioni, di mutande, camicie, fazzoletti, calze e “pezze da piedi”, opera di “mamme e sorelle, con l’aiuto di bravi sarti”.
Dopo Caporetto, il Comitato cittadino si mobilitò anche per gli sfollati dal Friuli e dal Veneto. Con delibera del 7 novembre stabilì l’assistenza, mediante raccolta separata, a queste famiglie. Con alimenti, indumenti, ricoveri, assistenza medica e quant’altro si rendesse necessario “per confortare italianamente i loro disagi e lenire le loro sofferenze morali”.  Successivamente il Comitato si congratula con se stesso e con la cittadinanza, per avere accolto “con sincera effusione di affetto i nostri fratelli profughi di guerra, assolvendo l’alto e gradito compito di prodigare le prime bisognevoli cure per il vitto ed il ricovero delle famiglie friulane, che affluirono numerose al nostro paese”.  

Gli abitati rurali – le “torri” – sono i choria.

Grecale o Levante? Il tema di continua discussioni con Pasquale C. era senza esito: Grecale e Levante sono lo stesso vento, quello di Nord Est. Di tre giorni, insidioso, in ogni piega  dell’abigliamento, dei tetti, delle connessure, avvolgente, è quello che dà la forma contorta agli ulivi, rumoreggiante. E anche, bisogna dire, detergente: ripulisce l’aria. Di Nord Est rispetto al punto di mare prossimo a Creta dove convenzionalmente si situa il centro della Rosa dei Venti.
Il Grecale (o Levante…) spira da Nord Est a Sud Ovest. Così, sempre prendendo a riferimento la costa cretese, a Sud Ovest della quale c’è la Libia, è Libeccio il vento opposto, da Sud-Ovest verso Nord-Est – lo Scirocco, che sta per vento di Sud-Est\Nord-Ovest, è il vento che viene dalla Siria. Il Maestrale, da Nord-Ovest a Sud-Est, è desuntoda magistra o via maestra, con riferimento a Roma, e a Venezia.

Paese di artigiani e piccoli agricoltori, modernamente borghese – oggi prevalentemete impiegati.  Con una frangia di pastori, da ultimo paese di montagna del versante tirrenico dell’Aspromonte, confinata in un quartiere piccolo di uno dei due quartieri del paese, anche un po’ isolato: i Lazzari. O Arretu Livari, dietro gli ulivi che contornano l’abitato, sulla vallata posteriore.
Non di forestieri, non c’era questa connotazione, ma comunque di “genti d’arretu marina”, della marina di dietro. Di dietro cioè la Montagna, del versante jonico. Di Natile e di Careri – detti per questo anche i natiloti. Non di San Luca: San Luca era antagonista, che si era appropriato come Comune nel 1929, grazie a un compiacente segretario comunale nativo dello stesso San Luca, di buona parte della Montagna, a danno nostro. Detti anche, spregiativamente, zangrej, nel senso di sporchi e primitivi, calzati ancora di mitti, le cioce – questa calzatura, fatta di ritagli di pneumatico, tenuti su da stringhe di corda o da fil di ferro, si ricorda ancora attorno al 1950.
La gente di San Luca era detta della Madonna della Montagna. Cioè di Polsi, che invece è un sito disabitato.
Tutti tamarri – pastori. Con le cioce.

Rocco era detto U cardolu per essere uno di Cardeto, ma nessuno l’ha mai saputo. Era “cardolo” lo zampognaro, quando usava venire in città, per Natale o altre feste: a Reggio l’appellativo richiama - richiamava, quando ancora la lingua parlata era caratterizzata - il suonatore di zampogna, modesto e insistente, applicato, con danzatore-danzatrice d’accompagno. Corrado Alvaro ha in più posti la  “bella cardola”. Nella conferenza “Calabria” che tenne a Firenze nel 1931, ricorda “le donne del villaggio di Cardeto, dove menano le gambe fin da piccole e non si stancano mai”. Musicisti e ballerini cardoli sono negli “Emigranti “ di Perri. I musicisti cardoli punteggiano “Patto col diavolo”, il  famoso film aspromontano di Luigi Chiarini, 1949, che più non si vede – la nostra memoria si è accorciata, quasi cancellata.
Il soprannome veniva confuso con un che di sporco, per l’aspetto dimesso, e anche disordinato, con cui Rocco si presentava. Che non aveva mestiere e non lavorava - non da bracciante, manovale, uomo di fatica. Si faceva segnare il minimo di giornate lavorate, 52 da ultimo, per le quali il lavoratore solitamente si paga lui stesso i contributi sociali, per poter poi prendere la disoccupazione il resto dell’anno, e per il resto girava ubiquo per il paese. Aveva fama di essere sensale, di affarucci e, ma non si saprebbe testimoniarlo, di matrimoni. Sempre però attendibile, la persona più onesta.
Era anche eccezionalmente urbano e mite – eccezionalmente per il luogo, che si esprime perentorio e quindi agitato. E un’estate che si segnò in un cantiere di rimboschimento perché percepiva solida paga, insieme con i contributi pagati dallo Stato, si fece cantiniere: passava il pomeriggio per la case, di Pasquale capocantiere, e dei due o tre amici di Pasquale ospitati nella casa della Forestale, per ritirare le provviste, altre ne procurava, soprattutto i vajanejji, gli speciali fagiolini corallo locali di stagione, e la mattina cucinava in mezz’ora, un’ora il pasto, spazzava e faceva anche un po’ di conversazione. Ma senza darne segno, non sudava e non si affannava. In tutte le case bene accolto per il sorriso e la non invadenza, le famiglie volentieri conversavano con lui e gli affidavano le provviste.
Ritrovato dopo vent’anni, un po’ irrigidito dal Parkinson. Ma elegantissimo, camicia bicolore, cravatta rosa, scarpe lucidate. Elegante bastone da passeggio, capelli stirati con la riga. Si sa infine che ha anche una sorella maggiore, di 104 anni, lucida, autonoma. Le figlie lo accudiscono, dicono il macellaio, il caffettiere in piazza, il barbiere, dove capita d’incontrarlo mentre passa una mezz’ora in compagnia - “Ha famiglia, come no, le figlie sono laureate”. E poi si è saputo che è morto.
Al funerale dicono che sono stati in pochi, perché Rocco non andava ai funerali – l’uso è che si va ai funeali di chi è venuto ai vostri funerali, dei congiunti vicini e lontani. Ma che è stata una cerimonia composta, malinconica ma non triste, in armonia col suo passaggio lieve.

leuzzi@antiit.eu 

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