L’edizione “originaria” che Riccardo
Chailly ha voluto, sulla scena fissa di un Giappone da cartolina, nella
stilizzazione pseudo Nô, è una riesumazione da epoca di femminicidi. Molto poco
giapponese-americana, da clash di civiltà o dramma dell’occidentalizzazione
(modernizzazione), quale era il dramma musicale di David Belasco da cui Puccini
trasse ispirazione. Una donna sola in un mondo ostile, non più una ragazza
giovane vittima dell’amore. Come forse è sbagliato, ma così si raccontava
all’epoca, primo Novecento dopo tutto l’Ottocento: la donna è fragile, e solo
vive d’amore.
Una esumazione che Chailly ha voluto
come risarcimento a Puccini per l’accoglienza ostile della Scala al debutto nel
1904. Fuori di questa novità, una produzione modesta. Che probabilmente Puccini
non avrebbe gradito. Della “esile giapponesina” aveva addolcito il carattere
schematico – ideologico. Dei comprimari aveva ispessito i sentimenti, non più
schematizzati. L’esumazione ha un effetto doppio di pialla: nonché Pinkerton e
gli altri, la stessa Cio-Cio-San che domina la scena non è: non è una geisha,
non una ragazza molto giovane, non è giapponese, non ha fatto un contratto a
tempo. Se non la vittima da immolare. Forse per questo apprezzata dal pubblico
della prima.
Giacomo Puccini, Madame Butterfly, Teatro alla Scala, ed. Riccardo Chailly
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