venerdì 2 dicembre 2016

Giro di valzer saudita a Mosca

I ribelli siriani trattano con Putin la fine della guerra civile. D’accordo con il loro padrino, l’Arabia Saudita. Tornata a guidare il rialzo dei prezzi del petrolio. Grazie alla mediazione russa col nemico Iran. Dopo averne più che dimezzato le quotazioni, un paio d’anni fa, per mettere in ginocchio la Russia.
Anzi, le petromonarchie potrebbero ora investire nel petrolio russo. Nello schema del cointainment di stampo guerra fredda, Obama si è dimenticato di schierare il mondo arabo, e più in particolare l’Opec, e Putin, sanzionato dall'Europa, si allarga altrove - le relazioni internazionali sono a vasi comunicanti. Con ricchi benefici.
C’è un distinto giro di valzer all’Est, tra Mosca e Riad, se non un rivolgimento, nelle more del passaggio da Obama a Trump. Una novità storica.
Per due motivi. Uno contingente: la politica ribassista del petrolio sarà pure riuscita nel suo intento (poco sappiamo della Russia, di fatto), ma più di tutti ha messo in ginocchio l’Arabia. Anche perché si è accompagnata a una proiezione imperialista del reame nel Medio Oriente, in Egitto, in Siria e nello Yemen, con spese enormi e esiti incerti: l’Arabia Saudita sta perdendo (non sta vincendo, che è la stessa cosa) tutte le guerre di grande potenza nelle quali si è imbarcata negli anni di Obama. E ora ha perso anche la “sua” presidente, la sponsor Hillary Clinton. Di fronte a una presidenza Usa filorussa, o non antirussa, un secondo motivo traluce, che sarebbe allora strategico, o di lunga durata: accordarsi direttamente e anticipatamente con l’avversario.
Putin è all’evidenza interlocutore più solido. Ha leve su Teheran (petrolio, Yemen, Libano) e Siria, ha bisogno dell’Arabia Saudita per  incrementare prezzi e entrate da petrolio e gas naturale.
L’ingresso della Russia come arbitro nel Medio Oriente non è affatto scontato, tale è il suo impatto. Sarebbe una rivoluzione storica. Ma estrometterla oggi è impossibile: di fatto c’è già, stabile.

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