Dieci
giorni dopo lo scippo della giovane cinese Zhang Yao, finito con la sua morte,
il gruppo Spe della polizia municipale romana, Sicurezza pubblica ed
Emergenziale, si è fatto vivo in via Salviati, a Tor Sapienza alla periferia di
Roma, davanti alla Questura per stranieri, ne campo rom abusivo che da venticinque
anni è specializzato nei furti di rame e negli scippi dei (poveri) stranieri in
cerca di permesso di soggiorno. Il comandante Lorenzo Botta si è fatto vivo a
via Salviati su sollecitazione dell’Associazione Amnistia, Giustizia e Libertà,
e di Nazione Rom. Entrambe preoccupate di assicurare ai rom del campo un
alloggio decente in una casa popolare.
Né
le due associazioni, né il gruppo Spe si erano fatti vivi prima, per la morte
della ragazza cinese scippata. Ma, proponendosi indilazionabile lo sgombero del
campo, su pressione del quartiere e dell’opinione pubblica cittadina, le due
associazioni hanno preteso l’applicazione della direttiva europea sull’inclusione
dei rom: una casa prima dello sgombero. Il comandante Botta pronto ha sottoscritto.
Ci
sono molti errori prospettici nella creazione della “questione immigrati”. Uno
è se l’immigrato rifiuta l’accoglienza, come è stato il caso di Amri, e lo è de
tanti rom che praticano il furto e la grassazione. Un altro è l’applicazione
privilegiata dei diritti umani a favore di categorie, invece che di emergenze
di fatto. Il rom ha diritto a un’abitazione, anche se è d’istinto un nomade,
anche se è un malfattore. Il separato-divorziato romano no, o il single
licenziato che non può più pagare il mutuo - le più ricorrenti fra le tante
figure dell’emarginazione urbana. L’esito paradossale è che il senzatetto che
non sia nomade e non sia un delinquente non ha diritto a una casa.
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