La collera, la paura passiva (chiudere gli
occhi, svenire), la tristezza passiva, la tristezza attiva, che si vuole fare
compiangere, la gioia? Tutte manifestazioni di difesa, per una sensazione di
pericolo o di minaccia – compresa la gioia-emozione, uno “stato d’impazienza”,
non la gioia-sentimento.
“L’immagine non è una cosa” è il
leitmotiv del primo testo, “L’immaginazione”, 1936. L’emozione è una condotta
magica” del secondo e più argomentato, l’ “Abbozzo”, o idee, “per una teoria
delle emozioni”. Che è un breve trattato,
e una metodologia introduttiva alla psicologia. Come tale ha formato più
generazioni in Francia, alle magistrali e all’università.
Sartre progettò il debutto nel 1936con
un trattato “La Psyché”. Le “Idee” sono i materiali metodologici, pubblicati
due anni dopo come “Abbozzo di una teoria delle emozioni” – precedute nello
stesso 1936 da “L’immaginazione”, e nel mezzo, nel 1937, da “La trascendenza
dell’Ego”. Il tutto, sembra, di malavoglia. L’anno successivo Sartre debutterà
con più convinzione nella narrativa, con “La nausea”, cui seguiranno nel 1939 i
racconti de “Il muro”, e poi molto teatro.
Il capitolo iniziale dell’abbozzo, “Le
teorie classiche”, è un lungo Janet vs.
William James – Pierre Janet è uno psichiatra, che la gloriola francese
considera anticipatore della psicologia dinamica e della psicanalisi. Segue la
novità, la fenomenologia. Fenomenologicamente, il “mondo”, o essenza, della
psicologia è la coscienza. La quale “esiste nella misura esatta in cui è
coscienza di esistere”. C’è quindi “prossimità assoluta della coscienza in
rapporto a se stessa”. I due termini dei “fati psichici”, l’uomo e il mondo,
coincidono: “L’esistente di cui dobbiamo fare l’analisi è noi stessi. L’essere
di questo esistente è mio”
(Heidegger, Essere e tempo”, p. 41). Senza illusioni: la fenomenologia è lo
studio dei fenomeni, non dei fatti: “Esistere
per la coscienza è apparirsi, secondo Husserl”. Con
l’avvertenza che la fenomenologia è agli inizi,
e ancora non s’è fatta un’antropologia.
Una coscienza autoreferenziale è
tautologica: si conosce perché si conosce. Ma l’esercizio vale come saggio
letterario. L’emozione? Per uno scrittore è facile, è come scrivere: “Per esempio,
in questo momento scrivo, ma non ho coscienza di scrivere”. Che non è tracciare
dei segni, per abitudine o pratica: “Sarebbe assurdo. Ho forse l’abitudine di
scrivere, ma non queste parole in questo ordine”. Del resto, “l’atto di
scrivere non è affatto incosciente, è una struttura attuale della mia
coscienza”. La particolarità è che “non è cosciente di se stesso. Scrivere è prendere una coscienza attiva delle parole che nascono sotto la mia penna”.
Sapendo che “le parole che io scrivo sono delle esigenze” – “l’azione come coscienza spontanea irriflessa
costituisce un certo strato esistenziale nel mondo”. Un’emozione è come una
febbre, “lo sconvolgimento volgare e totale del corpo”. Oppure è “una trasformazione del mondo”. Le
argomentazioni sono di questo tipo, apodittiche, o da manuale scolastico.
Il mondo ha “carattere duplice”: “È da
una parte un oggetto nel mondo e dall’altra il vissuto immediato della
coscienza”. Su di esso la coscienza si proietta come “un fenomeno di
accettazione”: “La coscienza non si limita a proiettare dei significati
affettivi sul mondo che l’attornia: essa vive
il mondo nuovo che ha costituito”. Gli altri sbocchi essendo sbarrati, “la
coscienza si precipita sul mondo magico delle emozioni”. Con esiti
sorprendenti: attraverso le emozioni la coscienza (intesa evidentemente come ratio) si degrada: “L’origine delle
emozioni è una degradazione spontanea e vissuta della coscienza di fronte al
mondo. Ciò che essa non può sopportare in certo modo, tenta di impadronirsene
in altro modo, dormendo, avvicinandosi alle coscienze del dormiveglia, del
sogno e dell’isteria”. I sovvertimenti fisiologici non sono “nient’altro che l’accettazione
vissuta dalla coscienza”. Insomma, “la coscienza vittima della sua propria trappola”. E, poi,
l’emozione è “magica” – il magico essendo “lo spirito serpeggiante tra le cose”
di Alain. O “una sintesi irrazionale di spontaneità e passività”, eccetera.
L’abbozzo si ricorda per la
contestazione della psicanalisi. “L’interpretazione psicanalitica concepisce il
fenomeno cosciente come la realizzazione simbolica di un desiderio rimosso
dalla censura”. Se così è, “bisogna rinunciare integralmente al cogito cartesiano e fare della coscienza
un fenomeno secondario e passivo”. La fenomenologia delle emozioni deve “fare a
meno di queste contraddizioni” – Sartre non sapeva quanto Heidegger, se non
Husserl, disprezzava Descartes e il “cogito”. Con un’introduzione di Nestore Pirillo.
Sotto la politica niente?
Jean-Paul Sartre, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, pp.
XXXV-216 € 11
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