mercoledì 7 dicembre 2016

Il Giappone era un altro, Butterfly avrebbe vinto in tribunale

Un divertimento, di avvocato, professore di diritto a Nagoya, in Giappone: che sarebbe successo se Butterfly si fosse rivolta a un tribunale, invece di suicidarsi per essere stata abbandonata da Pinkerton, dopo uno di quei comodi e brutti “matrimoni a tempo” orientali? Avrebbe vinto la causa: avrebbe ottenuto l’annullamento del secondo matrimonio del fedifrago, la sua incriminazione per bigamia, e gli alimenti per sé e per il figlio – il figlio anche lui andava protetto in quanto cittadino giapponese. L’opera non si sarebbe potuto fare – ma Puccini avrebbe trovato un altro soggetto.
Si legge col sorriso. Ma una verità emerge, che ancora fatica, anche dopo l’abbandono dell’etnocentrismo coloniale. La donna non era tanto priva di diritti a fine Ottocento. In Giappone meno che altrove, benché si fosse aperto all’Occidente – alla “civiltà”, specie giuridica – da nemmeno mezzo secolo. Un matrimonio misto non poteva essere risolto unilateralmente dall’uomo. Neppure da un americano, che l’extraterritorialità in qualche misura proteggeva. Pinkerton non poteva ripudiare la moglie. Non poteva nemmeno abbandonarla e rientrarsene impunito negli States.
Giorgio Fabio Colombo, L’avvocato di madame Butterfly, O barra O, pp. 67 € 7

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