Democrazia
– La
repubblica romana, la più duratura e forte democrazia, era l’effetto di
un’aristocrazia compatta e intraprendente. Che governava democraticamente il
voto popolare attraverso i capitribù e le clientele. I suoi propri ranghi,
ereditari, rinnovando e rinsanguando attraverso l’elettività delle cariche, a
breve termine. Un esercizio in continuum, in un processo virtuoso di accreditamento
dei propri ranghi, al di là della nascita, e di cooptazione per elezione
popolare. Cioè rimettendosi continuamente in discussione.
È l’assetto che la costituzione degli Stati
Uniti, che si avviano a essere la repubblica più duratura, hanno voluto
replicare con il proprio Senato. Nei suoi poteri decisivi, e nel rinnovo a
rotazione, a breve periodicità.
Danimarca
– Sarà
presto il più grande Stato europeo, il secondo più grande, dopo la Russia euro
siberiana, grazie alla Groenlandia? Il più grande non nel senso geofisico, quale
è oggi, ma anche economico e politico. La Groenlandia, oggi ricoperta per tre
quarti dai ghiacciai, potrebbe tra vent’anni, al ritmo attuale del disgelo, essere
liberamente colonizzabile. Di pascoli e coltivazioni. Un’isola - o arcipelago - grande quanto metà
dell’Europa continentale, Russia esclusa, più della metà della Russia europea. Che
oggi conta 36 mila abitanti, ma potrebbe ospitarne cento volte tanto, e forse
anche il doppio.
“The
Youg Pope”, il telefilm di Sorrentino, ha già un primo ministro groenlandese in
visita al papa, una donna.
Emigrazione
– Il
“Corriere della sera” intervista oggi alcuni italiani emigrati da tempo in Gran
Bretagna. Tutti ci tengono, al proprio lavoro, ma tutti sono indignati contro
il paese che li ospita. Per il Brexit, dicono, ma non solo, evidentemente: c’è
animosità, personale, prescinde dalla considerazione politica. È la condizione
“naturale” dell’emigrato, il doppio standard: da una lato voler restare, apprezzare,
condividere, dall’altro nutrire un indistinto risentimento, le ovvie differenze
accumulando come soprusi.
Se li si interrogasse sull’Italia,
probabilmente direbbero le stesse cattiverie, anche se di altra natura, che
dicono verso l’Inghilterra. Ma, al fondo, l’appartenenza è sempre col luogo di
nascita. Forse l’emigrato è condannato a una duplice appartenenza, irrisolvibile.
Che pone problemi quando le due si divaricano, come ora col Brexit. Che ha dato
fiato in Gran Bretagna al segmento peggiore della popolazione, degli ignoranti
sciovinisti. Ma questi sono la maggioranza, se hanno vinto il referendum. Lo
erano anche prima, quando si obbligavano invece, loro, a un doppio standard di
linguaggio, a essere cortesi verso il forestiero. In un certo senso,
l’emigrazione aiuta i locali a disintossicarsi.
Opennes – Lanciata dal presidente americano
Wilson dopo la prima guerra mondiale, al punto 1 dei suoi 14 punti di pace, la
diplomazia open, si realizza nell’era
digitale, con wikileaks e l’azione di alcuni individui, Falciani, Snowden, che hanno
voluto rischiare in proprio per denunciare attività coperte illegali – Snowden propriamente
l’azione di spionaggio della National Security Agency americana su mezzo mondo,
sugli individui di mezzo mondo, da semplici persone della strada ai capi di governo
e di Stato, nel quadro della prevenzione del terrorismo.
Falciani e Snowden hanno rivelato delle verità.
Ma il primo ha subito vari processi. Snowden è perseguito dall’amministrazione
Obama. Un’amministrazione democratica, sul solco del presidente Wilson. Mentre
Snowden, un attivista del parlamentare repubblicano Ernest “Ron” Paul, il libertario
autore di “End the Fed” (“End the Fed. Abolire la Banca centrale”), e di “The
Revolution. A Manifesto” (“La terza America”), è protetto dalla Russia di Putin, presso la
quale ha cercato e ottenuto asilo politico. Dopo aver pubblicato le
informazioni sulla Nsa tramite il “Guardian”, il giornale liberale inglese, che
è alla testa della “caccia a Putin”.
È il segno della contemporaneità. Wikipedia
censisce non meno di 26 filoni di openness:
dalla glasnost, che minò il sovietismo in breve tempo, il regime ritenuto pochi mesi prima più stabile a mondo, a open source, free content, open government,
etc. La vuole il papa per i suoi concili e concistori. Perfino le imprese
economiche se ne fanno vanto – della openness
come della eco compatibilità, ne sono apostoli. Il mondo si vuole peraltro del
libero mercato, un free for all. Ma
non c’è mai stata tanta segretezza quanta ce n’è oggi. Ossia impotenza dei
singoli, e impotenza degli stessi diritti sanciti – di cui la diffusione del complottiamo
è un effetto, più che una causa, troppo essendo le pezze d’appoggio. La libertà
sta nel contemperamento delle esigenze. Teoricamente, ma non solo, ci può essere
una congiura del libertà, l’uso del liberalismo a fini di parte. Non è peraltro
una novità.
Opinione
pubblica – La Brexit,
Trump, Raggi, il No sono un successo dell’opinione pubblica, o la sua deriva,
forse fatale? Nel senso che indicano un ritorno su posizioni chiuse, repulsive,
e anche vendicative, minacciose. Questi esiti vanno indubbiamente nel senso
basico dell’opinion pubblica: rappresentano la maggioranza della popolazione,
del voto. Oppure non sono l’esito di astuzie e demagogie, che oggi si labellano populismo: avventure
di capipopolo al buio, spregiudicati, cinici? O solo stupidi, specie nei giornali, che col populismo hanno
accelerato il declino della lettura, e il declino tentano di arginare
accentuando il populismo: i politici sono ladri, la funzione pubblica è una
casta.
Certamente sono un “tradimento
dell’opinione pubblica”, ma come il “tradimento degli intellettuali”: un
movimento interno di rovesciamento degli
obiettivi, masochista, autodistruttivo. S’intende l’opinione pubblica un’interazione
di obiettivi e convincimenti con segno positivo, per un di più e non un meno,
di libertà e opportunità. Ma è anche vero che il populismo, nelle varie dosi in
cui pure c’è stato e c’è – bastino le ambiguità di Grillo e di Trump -, viene
incontro ad aspettative frustrate, non le suscita né le stimola. Non è Grillo -
né gli analoghi europei - che mette in discussione l’euro e l’Europa, sono l’euro
e l’Europa che suscitano e alimentano i Grillo, almeno per questo aspetto. Non
è Trump che mette in discussione la globalizzazione, è la globalizzazione che
mette in discussione se stessa, avendo suscitato per metà del mondo, lo stesso
Occidente che l’ha promossa, un arretramento del livello di vista, e anche del
reddito, della stragrande maggioranza della sua popolazione, un impoverimento generale.
Per non dire degli effetti collaterali, sempre della globalizzazione, che
sempre la stragrande maggioranza finisce per pagare, direttamente o indirettamente:
i carissimi raid finanziari, ora anche sulle banche, le superretribuzioni di
tutte le posizioni costituite, manageriali e istituzionali (in Italia alcune migliaia
di posizioni nella Funzione Pubblica), l’impunità del crimine economico, e quindi
la corruzione endemica, sistemica.
Roma – Una repubblica militare,
prima che un impero, necessariamente militare. Dominata dal’ideologia della
marzialità e del sacrificio – del sacrificio per la marzialità: il trionfo bellico,
anche nella sconfitta, purché eroica. In un quadro di agonismo costante, per le
cariche di comando e tra le famiglie, nella repubblica e poi anche nell’impero.
Lo “stato marziale dell’anima” che ora è di Hillmann ma era di Sallustio e Tacito.
La gloria è militare, l’onore è militare, la fantasia è di conquista. Anche il
merito è militare – quasi esclusivamente: con l’eccezione di chi, di Cicerone?
astolfo@antiit.eu
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