Un apologo sull’impossibilità del bello.
Al Sud: alle mafie non piace, e non c’è scampo. Il bello come manufatto, e come
vita serena. Costruito su un aneddoto di Dumas, delle sue pittoresche note di
viaggio in Calabria (“Il capitan Arena”): la Locanda del Fico, sopraffina tappa
di viaggio a metà Ottocento, una terrazza sullo Ionio e sul Tirreno. Il bello
sarebbe restaurarla.
Abate si assomiglia a Dumas, “la faccia
tonda con la fossettina al mento come Dumas”, si fa dire dal narratore, “gli stessi
capelli crespi, solo meno folti…”. Ma la calvizie è una grossa differenza, anche
se viene dai ricci. No, l’avventura lascia l’amaro in bocca, malgrado la
narrazione dumasiana, perché Dumas punisce i cattivi. Qui invece niente, la
giustizia è assente – Abate è onesto.
Che deve fare uno contro i soprusi? La
vera avventura sarebbe stata questa. Ed è questo che fa la grandezza, fra le
tante, del protagonista fuori misura del racconto, anche se, per correttezza, lui
stesso la condanna, oltre che la giustizia: la mafia appesa al gancio.
Carmine Abate, Tra due mari, Oscar, pp. 193 € 9.50
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