Vita tragica di comunista potrebbe
essere il sottotitolo. Tina Modotti, 1896-1942, rispolverata da sempre come
diva glamour, della bellezza e
dell’impegno, ebbe in realtà una vita pubblica, gli ultimi quindici dei suoi 45
anni, di lutti e calunnie. Il tutto da quando, in Messico, scoprì il comunismo,
e abbandonò Edward Weston, il grande fotografo, che le aveva insegnato a
fotografare e ne era l’innamorato felice. Passò da passione a passione, sempre
di compagni, a partire dal giovane cubano Julio Antonio Mella, della cui fine
assassinato a Città del Messico fu sospettata, e anche accusata. Per finire in
Spagna con Vittorio Vidali, commissario politico nella guerra civile, cioè un
controllore e un epuratore. Senza più lavorare, se non come agitprop. Fino alla
morte alla Befana del 1942, sola, e anoressica, a Città del Messico.
La principessa parigina Hélène
Poniatowski, naturalizzata messicana per matrimonio e scrittrice in
castigliano, autrice anche di un “Diego Rivera”, nonché di narrative che le
hanno valso il premio Cervantes, il Nobel spagnolo, amica di Garcia Marquez e
di Vargas Llosa, dei quali condivide lo spirito liberamente scorretto, affronta
Tina Modotti dalla fine, dalla morte nelle sue mani di Mello e dai sospetti e
le maldicenze che presero a perseguitarla. Che sarebbe la sua rinascita, nella
necrosi comunista, di ortodossie costantemente assassine. Poniatowska la segue con
simpatia ma non agiografica – questa sua biografia era stata già tradotta, ma
non integrale (è per questo spiritaccio che la biografia è tuttora letta in
tute le lingue). Ha licenziato il corposo volume nel1992, ma l’aveva costruito con
indipendenza di spirito, fuori dai santini. Nova Delphi, che opera sulla memoria
di Sacco e Vanzetti, ne annuncia la riproposta come di una “passione rivoluzionaria”.
Ma allora suicida – Sacco e Vanzetti
sarebbero stati cominternisti?
Tina è vittima del metodo disinformativo
messo a punto e perfezionato dal Cremlino, di cui fu paladina sempre allineata:
il controllo attraverso il sospetto, nella assise politiche, e nei rapporti personali.
Senza tregua. Passa gli anni del comunismo, in questa biografia, perseguitata
dalla fama, intracomunista, di mangiauomini. Non perché lo fosse ma perché
aveva posato (semi)nuda. E benché fosse devotamente allineata. L’ultimo suo atto
a Città del Messico fu di ingiuriare gli amici intimi Diego Rivera e Frida Kahlo
perché avevano ospitato Trockij – “opportunisti, esibizionisti, vogliono solo
farsi pubblicità”.
Era stata giovane immigrata dal Friuli alla
vigilia della Grande Guerra, Assunta
Adelaide Luigia Modotti, piena di energia, che per l’avvenenza e la
fotogenia era diventata star di Hollywood nel 1920, a ventiquattro anni, e poi,
legandosi a Weston, fotografa di immediata fama – sarà fotografa in tutto,
benché dall’occhio di lince, di un paio di centinaia di cliché. Una vita perduta, di cui aveva forse coscienza: “Mi viene spesso in mente la bellissima
frase di Nietzsche che mi hai citato”, così chiude l’ultima lettera a Weston,
nel 1930: “Quel che non mi uccide mi rende più forte. Ma ti assicuro che il
periodo che sto vivendo mi sta quasi uccidendo”.
Elena Poniatowska, Tinissima, Nova Delphi, pp. 626, ill. € 21
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