Napoleone era un predone. Non si dice,
non è materia di storia, ma è la sua storia, a cominciare dalla spedizione in
Egitto. Non si ricorda nemmeno che il Louvre nacque per ospitare il fiore delle
conquiste napoleoniche (con molti altri musei, a Parigi e altrove in Francia) -
nonché di quelle rivoluzionarie, prima di Napoleone. In Italia e ovunque in Europa,
dalla Spagna alla Russia. La mostra si fa per il bicentenario del recupero di
parte dei lavori d’arte razziati. Sotto un titolo che non vuole dire niente –
vago come tutto quello che oggi ruota attorno all’Europa: ogni paese si tiene
strette le sue opere d’arte.
La raccolta di quello che Napoleone ha
razziato in Italia stupisce per la qualità e la quantità. Non era il soldataccio
che ha diritto al bottino, le sue razzie erano organizzate, su base
documentaria, di pedigree e expertise tra i più qualificati. La mostra ne è un
catalogo stupefacente – benché limitata a una parte della razzia, quella che il
congresso di Vienna ha poi stabilito che dovesse tornare agli Stati italiani
pre-unitari.
Tornarono e sono qui esposti un
Raffaello, “LeoneX”, un Tintoretto, “Sant’Agnese”, “Il Compianto del Cristo
morto” del Veronese, la “Venere Capitolina” del Canova – che per conto del papa
aveva negoziato il rimpatrio post-Vienna. Sono rimasti a Parigi, fra i tanti
capolavori, Giotto, “Le stimate di san Francesco”, e le monumentali “Maestà” di
Cimabue. “Un convoglio di circa cento
carri” annunciava scrivendo alla moglie Gaspard Monge, il matematico inventore
della geometria descrittiva, membro della commissione di “artisti” che
assistevano Napoleone.
Il
Museo universale. Dal sogno di Napoleone a Canova, Roma, Scuderie
del Quirinale
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