Il mito come la musica: si legga il mito
come si legge una partitura orchestrale, “non una strofa dopo l’altra”, ma
nell’insieme. “Se cerchiamo di leggere un mito come leggiamo un romanzo o un
articolo di giornale, cioè riga per
riga, leggendo da sinistra a destra, non lo comprendiamo, poiché dovremmo
invece coglierlo come una totalità e scoprire che il suo significato
fondamentale non è trasmesso dalla sequenza degli eventi ma, per così
dire, da fasci di eventi”, anche non contemporanei.
Semplice. Ma è il punto più critico – più contestato, “terribilmente complesso”, dice lo stesso antropologo – delle elaborazioni di
Lévi-Strauss, nell’ultima delle cinque conversazioni con Carol Orr Jerome, tenute
nel dicembre 1977 alla radio canadese Cbc.
Altre conclusioni sono degne di merito. Il
pensiero non si fa ma si forma. Nel soggetto che lo esprime, ma solo in quanto
mediatore, e lo “crea”. La differenza arricchisce sempre, anche se è difficile
sistemarla – non è comunque etico, nell’etica della ricerca, ignorarla o appiattirla.
La ricerca (sistematizzazione) è delle invarianti: “La ricerca strutturalista è
tutta qui, la ricerca dellel invarianti, o degli elementi invarianti”. La
scienza recupera la razionalità complessa che al suo nascere, nel Seicento, con
Bacone, Descartes e Newton (non Galileo…) rifiutava, dovendosi connotare e fare
strada, “in contrapposizione con le vecchie generazioni del pensiero mitico”.
Il pensiero scientifico si riapre alla complessità anche grazie all’antropologia,
alla “logica del concreto”. Tra “primitivo” e civilizzato” non Malinowski (il primitivo
non pensa) né Lévi-Bruhl (il primitivo ha conoscenza emotiva o mistica), ma la
continuità – il primitivo fa anche astrazioni, con strumenti intellettuali. Il
problema è “dove finisce la mitologia e comincia la storia”. Considerato che
gli antropologi si avvalgono di mediatori culturali, che sono essi stessi
antropologi, seppure di formazione mediata, la continuità è ineliminabile.
A proposito della nascita della scienza
nel Seicento, lo stesso è da dire dei romanzi – e dei grandi stili musicali.
Sempre per effetto dell’abbandono del “pensiero mitico“: i romanzi nascono nel secolo XVII con l'abbandono del “pensiero mitico“, e lo stesso “i grandi stili musicali“. Ma qui l’antropologo non dice se un ritorno è
auspicabile. Si limita a una constatazione: “Oggi
stiamo assistendo alla scomparsa del romanzo stesso. E può darsi che quanto
avvenne nel diciottesimo secolo, quando la musica rilevò la struttura e la
funzione della mitologia, si stia verificando di nuovo, nel senso che la
cosiddetta musica seriale ha sostituito il romanzo come genere”.
Amabile e concludente a ogni capoverso. L’esposizione
seguita, attraente, è il segno della ricerca di Lévi-Strauss, in queste
conversazioni come nelle trattazioni studiose. Non una volgarizzazione, ma
l’idea che la verità è semplice, bisogna solo saperla esporre - raccontare .
Con un’introduzione di Cesare Segre,
attenta a recuperare lo scavo dell’antropologo nella semiologia, dalla quale
era partito.
Claude Lévi-Strauss, Mito e significato, il Saggiatore,
pp.67 € 7.50
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