La guerra è ineluttabile. La storia va
in tal senso, è una storia di guerre, e Hillmann le trova delle pezze d’appoggio.
Nel mito: l’inseparabilità di Afrodite e Ares. Nella poesia – si comincia con
un poema di guerra, l’“Iliade”. Nella storia, compresi gli scrittori, Mark
Twain, Tolstòj, e la filosofia, Hannah
Arendt, Foucault. Nelle corrispondenze di guerra: quelle dal Vietnam ripetono
Omero e l’“Iliade”. Nelle lettere dal fronte, così piene di pathos bellico, alla
vigilia della morte. Nelle trattazioni dell’arte della guerra – Clausewitz escluso
(tropo ragionativo?).
Si direbbero queste tutte espressioni di
una particolare logica: la semplificazione (mito), la narratività (da Omero a
Tolstòj), la retorica e la censura nelle trincee, la pianificazione tecnica,
degli strateghi militari come dell’ingegnere civile. Che però Hillmann obnubila
passandoci sopra a volo radente: parte intenzionato e non deflette, la guerra è
non solo un fatto umano, è “troppo” umano.
Un terribile libro, non solo per i pacifisti.
Hillmann è scrittore suadente ma psicologo un po’ troppo conforme. Scriveva
anche molto, e qui per esempio non si controlla abbastanza. La guerra dice “pulsione
primaria” della specie umana. E delle altre specie no?
L’amore per la guerra è difficile da
provare, anche solo da immaginare. Hillmann parte dalla scena di un film, che
si basa sullo stereotipo del generale Patton in uso nella pubblicistica, l’uomo
che vince la guerra contro il male essendo lui stesso un cattivo – “come amo
tutto questo”, un panorama di desolazione, cadaveri, crateri, macchine di ferro
contorte , “che Dio mi perdoni, lo amo più della mia vita”. Che va bene per una
storia romanzata, e meglio ancora per aprire un film di opposizione alla guerra
nel 1971, a guerra del Vietnam inutile e persa - lo sceneggiatore Francis Ford
Coppola fissa poi Patton su una grande bandiera americana, che arringa i
soldati. Ma astrarre la scena dall’opposizione pacifista alla guerra del
Vietnam è come dire la mafia dato caratteriale e etnico. Che la violenza sia una
pulsione, in qualche modo una decisione, sia pure irriflessa, piuttosto che un
fatto chimico, è da dimostrare, e probabilmente è indimostrabile – l’“Arancia
meccanica” di Kubrick e Burgess mezzo secolo fa ne diede dimostrazione, sia
pure oltraggiosa. È però statisticamente minoritaria, molto. Chi è umano, Kim-Il-Sung,
o come si chiamano i suoi nipoti, oppure i coreani?
James Hillmann, Un terribile amore per la guerra, Adelphi, pp. 296 € 20
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