Céline fa il Céline nelle lettere agli
editori, qui estratte dalla raccolta “Lettres à la N:R:F. 1931-1961” e dai
primissimi “quaderni neri”, i “Cahiers Céline”. In sostanza lettere a Gaston
Gallimard e alla sua redazione, la N.R.F : ironico, sarcastico, aggressivo,
bisognoso, molto, e alla fine sempre arrendevole. Si pubblicano perché colorite, il solito profluvio di lamentazioni e deprecazioni, ma rimarchevole è la conosceza di sé, del lavoro letterario, che alla distanza si staglia netta - e l’isolamento dopo la guerra, colpevole e incolpevole (lettere che sanno di stantìo, di rattoppi, quasi da barbone).
Céline rientra alla N.R.F. nel 1951,
amnistiato in quanto ex combattente della Grande Guerra. In teoria su
raccomandazione di Malraux: “Per quanto sia probabilmente un tipaccio, di
sicuro è un grande scrittore”. In realtà Gallimard lo ha inseguito da subito
dopo la guerra, su insistenza di Jean Paulhan, il suo direttore editoriale,
grande estimatore di Céline. Nel 1932 anche la N.R.F. aveva avuto in lettura il
“Viaggio al termine della notte”, il capolavoro di Céline, che non aveva
pubblicato. Giustificandosi poi col ritardo del suo troppo scrupoloso lettore
d’allora, Benjamin Crémieux, che non veniva a capo della novità dell’opera.
Il bisogno di denaro è pressante,
Céline non ha altra entrata. Tutto ruota attorno alle richieste di denaro.
Insistenti, dietro i sarcasmi, e come di un questuante, interminabili. Così come le
querimonie contro la critica, o contro la casa editrice che non fa nulla per
“comprarsi” la critica. Ma si legge come se fosse nuovo,
anche quello che è stato detto e ridetto, e questo dice tutto. Nei ritagli di
tempo, di getto, sulle questioni non proprio appassionanti degli anticipi e
delle recensioni, Céline sa imbastire una corrispondenza d’autore, di lettura
sempre in qualche modo interessante. La resa emotiva. La musica in prosa. La
persecuzione e il complotto. L’antisemitismo. Il collaborazionismo. E gli
ebrei. Compreso Ben Gurion. Con una facilità sorprendente. Che aderisce, si
capisce infine, al carattere. Scherzoso. E con una aisance da establishment, non proprio il reietto dell’immagine dominante.
Céline è
sempre quello torvo, incattivito, vendicativo della tradizione a lui ostile – e
della figurazione che lui stesso ha di sé nella seconda parte della sua vita.
Mentre era ben presente, e attivo: dopo il “Viaggio” il più e il meglio lo ha
scritto nei dieci anni tra la (parziale) riabilitazione e la morte, che sono
gli anni prevalenti di questa corrispondenza. E lucido, sotto le ironie. La
spiegazione dell’antisemitismo che dà a Paulhan sarà di comodo, ma è anche una
parte della verità – così come lo è l’antigermanesimo di fondo di un volontario
della prima guerra, invalido al 75 per cento: i libelli anticomunisti e
antisemiti intesi a scongiurare la guerra.
Si
apre con la scheda del “Viaggio al termine della notte”, che Gallimard ha
richiesto e di cui Céline si dice incapace: “Si tratta di una maniera di
sinfonia letteraria, emotiva, piuttosto che di un vero romanzo… La storia è
insieme complessa e semplice. Appartiene anche al genere opera. Una specie di
affresco del populismo lirico, del comunismo con un’anima, ribaldo dunque,
vivo”. Cui segue in nota la scheda del comitato di lettura di Gallimard:
“Romanzo comunista contenente episodi di guerra molto ben raccontati”... Gallimard non
prende le invettive sul serio, Paulhan dopo un po’ si stufa: “Le sue lettere
sono divertenti, come possono esserlo le lettere dei bambini o dei pazzi. Mi
accorgo oltretutto che le sue lettere hanno smesso di divertirmi. Tutto ciò è
ben triste, tutto sommato le volevo bene. Perché diavolo ha così cattivo
carattere?” Ma è tutto un teatro.
Resta il fatto:
uno scrittore che viva della sua opera ancora si deve trovare, morti Pirandello
e Thomas Mann – i più ricchi hanno vissuto di giornalismo e di prestazioni per
il cinema. La raccolta è oggi anche un colpo al cuore, per l’estrema libertà che indirettamente
testimonia, che Gallimard, Paulhan e poi Nimier si prendono, dopo la lunga occupazione
in Francia, di dare spazio alla “formidabile partita tra un uomo solo e
praticamente tutto il mondo” (Sollers). Eccezionale al confronto con, per esempio,
l’Italia, dove il conformismo dilaga imperturbato dopo settant’anni – e trenta,
o quasi, dalla caduta del Muro.
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